Avevamo una lunga strada davanti. Ma non importava perché la strada era la vita (Kerouac).
La nostra vita spesso si alterna tra valigie , date e mete che inseguiamo, che concedono poco al viaggio, ormai trasformato in turismo veloce e consumistico.
Nell’era di Internet, delle comunicazioni rapide, del turismo low cost, della più veloce tecnologia, tutto il mondo sembra raggiungibile in una manciata di minuti. Questo lascia poco spazio al viaggiatore che vuole concedersi la pace della scoperta, sentire il lento incedere dei suoi passi e dedicarsi alle scoperte naturali che lo circondano.
L’idea stessa dell’esplorazione del cammino è stata sostituita da quella di una permanenza breve. Eppure il viaggio e il viaggiatore sono sempre stati al centro della nostra letteratura, sia classica che contemporanea.
Potremmo partire dall’Odissea o dall’Eneide, opere che riassumono i significati concreti e simbolici legati al tema del viaggio, o spaziare attraverso le metafore più presenti nell’immaginario collettivo occidentale: la vita viene intesa come un “cammino” o un “pellegrinaggio”. Ma quello che forse più si serra si lega alla nostra visione è la concezione medioevale e rinascimentale del pellegrino.
L’esperienza plurisecolare dei “cammini” che ancora oggi segnano i nostri territori. E se ciò che caratterizza un pellegrino medievale cristiano è la decisione di subordinare la sua intera esistenza a un viaggio in un preciso luogo, molto più romantica è in realtà la visione moderna del viaggiatore o del pellegrino, ripropostaci dagli scritti dei primi del novecento a dalla beat generation.
Secondo Cesare Pavese “viaggiare è una brutalità. Obbliga ad avere fiducia negli stranieri e a perdere di vista il comfort familiare della casa e degli amici. Ci si sente costantemente fuori equilibrio. Nulla è vostro, tranne le cose essenziali – l’aria, il sonno, i sogni, il mare, il cielo – tutte le cose tendono verso l’eterno o ciò che possiamo immaginare di esso”.
Il Pellegrino, quindi, non incarna più una figura religiosa che deve raggiungere un luogo per elevarsi, e la meta sfuma in un viaggio culturale o personale dentro il proprio io. Ne è una testimonianza “The Further Inquiry di Kesey” un cammino che rappresenta una vera e propria fuga dalla vita quotidiana.
A questo punto non credo importi molto con che spirito si affronterà il prossimo viaggio, se si vorrà ripercorrere la strada greca del “Conosci te stesso” riproposta dalla beat generation o quella culturale religiosa. L’importante è poterci concedere una strada da percorrere, preferibilmente con lentezza, perché essa, in ogni caso somiglia alla vita