E’ uno dei personaggi storico-religiosi più interessanti, sia per l’importanza che ricoprì il suo breve magistero, sia per la sua decisione di ritirarsi dopo poco più di 100 giorni di papato.
Pietro di Angelerio o del Morrone, chiamato così prendendo spunto dal nome del monte sito sull’Appennino abruzzese in località Maiella, fu l’undicesimo figlio di una famiglia di poveri contadini, e si presume sia nato nel 1209 presso un castrum denominato Sant’Angelo di Limosano (Cb). Cresciuto nella contea del Molise, studiò in un convento locale di benedettini e visse parte della sua giovinezza da semplice eremita e in pieno isolamento. Formatosi presso il monastero di Santa Maria in Faifoli, da adulto si ritirò tra le rocce dei calanchi di Sulmona conducendo una vita ascetica che nel tempo suscitò curiosità e attirò gruppi di proseliti, alcuni dei quali decisero di seguirlo. Tuttavia, contrariamente ad alcuni stereotipi a lui dedicati diffusi nel tempo, Pietro alternò lunghi periodi di segregazione ad altri caratterizzati da una serie di spostamenti e di viaggi che gli permisero di entrare a contatto con i movimenti religiosi più variegati e con le alte cariche ecclesiastiche centrali. Lo fece – è opportuno ricordarlo – senza disconoscere nel modo più assoluto l’autorità suprema del pontefice.
Attratto dalle idee di Gioacchino da Fiore, volle testare di persona la veridicità del malcostume del clero “malignantum” recandosi a Roma in giovane età e trovando una situazione a dir poco allarmante. Le controversie tra l’autorità papale e le amministrazioni romane guidate dalle potenti famiglie nobiliari locali costrinsero infatti Gregorio IX a stabilirsi in Anagni proprio nel 1233, periodo in cui Pietro si era trasferito nello Stato della Chiesa per essere ricevuto dalle autorità pontificie e prendere i voti. Probabilmente è da ascrivere a quel lasso di tempo la sua decisione di dare luogo ad una vita ispirata ai principi di santità. Ma quali furono i veri motivi che lo indussero a condurre un’esistenza eremitica e rinunciare successivamente al suo mandato apostolico? L’incapacità di adattarsi ai canoni tradizionali imposti dalla Chiesa o l’impossibilità di diffondere liberamente le sue teorie legate all’età dello Spirito Santo?
Cantato da Dante e menzionato dal Petrarca e dal Boccaccio, la storiografia ha scritto molto su questo papa, e non sempre gli studiosi si sono trovati d’accordo circa le tante tesi espresse sul suo pensiero, sulla sua esistenza e sulla sua idea di amore e solidarietà come missione fondante di Santa Romana Chiesa. Il Celestino teologo – associato recentemente a Ratzinger per via delle analoghe rinunce al soglio – fu oggetto di pressioni perché rimettesse il mandato o fu una sua scelta esclusiva? Certamente, la sua indole di missionario fu messa a dura prova dai contrasti di ordine geopolitico che caratterizzarono i rapporti tra Impero e Chiesa durante l’alto Medioevo, ma non è escluso che non riuscendo a ottenere quell’autonomia che avrebbe richiesto il suo magistero, egli abbia deciso unilateralmente di soprassedere.
Che non fosse un semplice sacerdote votato all’ascetismo se ne accorsero ben presto le alte cariche pontificie, favorevoli a concedergli l’acquisizione di diversi possedimenti immobiliari e altre prerogative, tra cui la costruzione della chiesa di Santa Maria del Morrone (1259) e l’iscrizione nell’ordine dei benedettini degli eremiti di Santo Spirito, di cui Pietro era indiscusso punto di riferimento. D’altra parte, la sua presenza al concilio ecumenico di Lione del 1245, voluta da Innocenzo IV, rende l’idea di come le sue tesi ispirate al pauperismo francescano venissero ascoltate e fossero oggetto ora mai della massima attenzione. Circolarono in modo più insistente anche le voci relative ai suoi presunti “miracoli”, la maggior parte dei quali consistettero nella guarigione di ammalati gravi, e – secondo alcune biografie redatte da eminenti storici – nell’aver fatto scorrere l’acqua presso la Piana di Baullo (Aq), laddove vi era siccità e dove lavoravano dei braccianti assetati sotto il sole cocente. Inoltre, divenne celebre la narrazione secondo cui ogni giorno, per 3 anni di fila, una colomba passò sul Monte Morrone per ricevere cibo dalle sue mani.
Indubbiamente, Pietro di Angelerio divenne popolarissimo già durante la sua maturità umana e spirituale. Il 22 marzo 1275 una bolla di papa Gregorio X affermò la piena autonomia
economica della congregazione celestiniana, la quale usufruì sempre più, come fonte di sostentamento, di libere donazioni da parte dei fedeli e dei discepoli del Santo. Divenuto abate di Santa Maria in Faifoli, anche da anziano Pietro continuò a vivere lunghi periodi di raccoglimento a quasi mille metri di altitudine presso l’eremo abruzzese di Sant’Onofrio al Morrone (sembra che tentò di spostarsi più volte per rimanere lontano da presenze di curiosi e occhi indiscreti), mentre si avvicinava il momento in cui la sua vita sarebbe cambiata sino a segnarne in modo indelebile i suoi ultimi giorni.
La morte di Papa Niccolò IV, pontefice di ispirazione francescana, avvenuta il 4 aprile 1292, diede
luogo ad un lungo e sofferto conclave il quale divenne oggetto di fortissimi condizionamenti da parte dei potentati dinastici europei e delle casate romane. La procedura fu febbrile, e andò avanti per quasi 2 anni suscitando infine il malessere del “pastor angelicus”, che scrisse ad uno dei porporati predicendo “gravi conseguenze per la Chiesa se questa non si fosse decisa alla svelta a scegliere il suo pastore”. Il collegio cardinalizio non perse altro tempo, e cogliendo al volo l’intromissione di Pietro, decise di proporlo come candidato : con votazione unanime, il 5 luglio 1294, fu eletto papa con il nome di Celestino V. Ottantacinquenne, nominato perché ritenuto “uomo di santità” ma anche perché anziano e manipolabile, Pietro non smise di stupire per via delle sue scelte e del suo modus operandi : chiese ed ottenne di essere incoronato a L’Aquila e non a Roma. Si presentò alla cerimonia di investitura sopra ad un asinello trainato da Carlo II d’Angiò (detto “lo zoppo”) e diede seduta stante l’indulgenza plenaria a tutti i fedeli.
L’incoronazione, avvenuta il 29 agosto presso la basilica di Santa Maria di Collemaggio, fu seguita dal suo annuncio di voler risiedere proprio nel capoluogo abruzzese e dalla nomina di 12 nuovi cardinali, di cui alcuni francesi graditi allo stesso Carlo II re di Sicilia. Il 29 settembre dello stesso anno, per mezzo della bolla Inter Sanctorum solleoni, Celestino estese – con decorrenza dagli anni a seguire – il privilegio della Perdonanza per tutti coloro che, confessati e pentiti dei propri peccati, si fossero recati a Santa Maria di Collemaggio dal calare dei vespri del 28 agosto e vi avessero presenziato sino al tramonto del giorno successivo. Con quella decisione, Pietro riprese il rito di San Francesco celebrato anni prima nella chiesa della Porziuncola, quando nel 1216, il poverello di Assisi raccolto in preghiera, fu investito da una grande luce e vide il Cristo con sua Madre Santissima circondati da una moltitudine di Angeli ai quali chiese il perdono “per tutti i pentiti e i confessati che avessero visitato quel luogo.” Si trattò di un evento epocale poiché fondato sulla regola francescana in un periodo in cui la Chiesa cattolica visse gravi lacerazioni religiose e sociali caratterizzate da guerre intestine tra famiglie intenzionate a usurpare i poteri dei legittimi pontefici.
Debole e malandato, Pietro fu indotto dai D’Angiò a spostare la sua residenza a Napoli, da dove riuscì a impartire sempre più a fatica le sue volontà, e dove ravvisò il progressivo astio nei suoi confronti dei cardinali che lo accusarono di essere totalmente subordinato alla corona francese. Passarono solo pochi giorni, e dopo alcuni fitti colloqui con Benedetto Caetani (il quale sarebbe diventato Bonifacio VIII, il successivo papa), Celestino prese la decisione che gli parve più naturale: avvalendosi del principio motus ex legittimis causis, rinunciò volontariamente al pontificato. Era il 13 dicembre 1294. Intimorito dalla possibilità che un papa emerito potesse provocare divisioni o scismi apertamente eretici all’interno della chiesa, il nuovo pontefice, l’anagnino Caetani, decise, di concerto con le alte sfere cardinalizie, di bloccare e imprigionare Celestino, in procinto di spostarsi in Grecia per seguire un gruppo di monaci francescani. Fu rinchiuso nelle celle della rocca di Fumone, in Ciociaria, dove si spense il 19 maggio 1296.
Nel maggio del 1313 papa Clemente V lo canonizzò inserendolo nel novero dei santi, ma il povero Celestino non ebbe tranquillità neanche postuma: soggetti a potenziali trafugamenti, i suoi resti furono spostati più volte nelle diverse chiese del circondario di Ferentino, sino ad essere trasferiti definitivamente, nel febbraio 1327, presso la basilica di Collemaggio. Il 18 aprile 1988 la salma di Celestino fu trafugata e ritrovata alcune ore dopo a Rocca Passa, vicino Amatrice. Dopo la tragedia del terremoto de L’Aquila del 6 aprile 2009, il crollo della volta della basilica travolse la teca con il venerato Santo, e solo l’intervento dei Vigili del Fuoco, dei volontari e della Protezione Civile permise il suo ritrovamento e la successiva messa in sicurezza. Celestino oggi è Santo Patrono di Isernia, Sant’Angelo Limosano, L’Aquila, Urbino e Molise, e forse ora ha trovato pace.