Enzo Bettiza, nato a Spalato e morto ieri l’altro a 90 anni, è stato adeguatamente celebrato su tutti i principali quotidiani. Maestro di giornalismo ( alla “Stampa”, al “Corriere”, poi l’avventura del “Giornale” di Montanelli), inviato speciale (in Urss, di cui era gran conoscitore), e poi memorialista, autore di reportage, scrittore finissimo, romanziere e straordinario affabulatore (dalla Campagna elettorale, 1953 a Esilio, 1996, e fino al recente Distrazione, 2013). Biografia movimentata e quasi picaresca: contrabbandiere, venditore di libri a rate, giocatore di poker, gran signore, cronista scrupoloso, e appunto sublime artista della penna.
Difficile aggiungere una tessera significativa al mosaico che è ieri apparso sulla stampa nazionale. Vorrei però ricordare una scena per me illuminante, grosso modo risalente ai primi anni’80.
In una trasmissione gli accadde di scontrarsi con Enzo Forcella, pure grande giornalista, su un episodio apparentemente irrilevante di censura televisiva, credo su una questione che riguardava i dissidenti sovietici (tema peraltro a lui caro). Forcella tentò di difendersi, con fatica ed evidente imbarazzo, mentre Bettiza lo interrogava e incalzava impietosamente, incurante dei cerimoniali che di solito prevalgono in queste occasioni.
Lì ho capito il carattere, la personalità di Enzo Bettiza: intransigente anche se mai fazioso, uomo libero, indocile e onesto, privo di appartenenze, educatissimo e anche un po’ ruvido, scrittore comunicativo e dandy raffinato. In fondo un antitaliano, solitario e intrattabile, amante della verità e refrattario a ogni accomodamento.