Qualcuno ha definito l’umanità “la tribù di Caino”. Sin dalla notte dei tempi l’omicidio ha segnato il destino degli umani e la violenza è stata una fedele compagna del loro viaggio terreno, il più formidabile motore della Storia. Sarà a causa della “pulsione di morte” che si annida nei recessi reconditi della nostra psiche – come segnalava Freud – fatto sta che il piacere di uccidere pervade anche la nostra epoca, nonostante l’avvento della democrazia, dello Stato di diritto, nonché delle policrome culture della pace e del dialogo fra i popoli.
Le notizie di stragi e crudeltà di ogni genere, che il sistema dei media diffonde incessantemente urbi et orbi, però non finiscono mai di stupirci e di lasciarci sgomenti lo stesso. In verità, si dà un certo livello di assuefazione alla proliferazione del male, ma poi arriva l’eco di qualche evento sensazionale che riaccende le nostre emozioni. Il cervello si rimette in moto stimolando riflessioni sulla mutazione antropologica in corso e sulla tragicità dell’essere-nel-mondo, che certi episodi drammatici sollecitano. Una di queste notizie riguarda El Salvador, uno staterello dell’America centrale segnato da una terrificante guerra civile negli anni 80’ del secolo scorso.
Oggi, rimane uno dei Paesi più pericolosi di quell’area continentale, sconvolto da un’altra guerra latente ma non meno feroce, quella combattuta dalle gang criminali. Non a caso, El Salvador è il secondo Stato al mondo per numero di omicidi dopo l’Honduras: le autorità riferiscono che da gennaio ad agosto 2015 gli omicidi sono stati 4,246, più di 17 persone uccise in media ogni giorno. Agosto è stato il mese più nefasto dal termine della guerra civile del 1992, con 911 omicidi – di cui 52 avvenuti il 23 agosto.
La polizia stima che l’80% dei delitti siano ricollegabili alla faida tra gli MS-13 e i loro rivali della gang “Barrio 18” scoppiata nel 2012. E il Governo non sa come arginare il dilagare della violenza… Ecco perché è arrivato a consentire che la prigione di Ciudad Barrios sia lasciata completamente in mano ai membri della “Mara Salvatrucha” o MS-13. Tant’è che neppure le guardie osano mettere piede all’interno del carcere temendo di essere catturate, torturate e accoppate. L’istituto di pena è ormai un’”isola franca” dominata dal demone della delinquenza. Spacciatori, killer spietati, trafficanti di armi, gestiscono senza alcuna interferenza esterna il carcere dove sono rinchiusi oltre 2500 membri della gang (ne erano previsti soltanto 800), con tanto di panetteria, clinica medica, un centro di disintossicazione e vari workshop. Criminalità significa anche organizzazione, che talora può dimostrarsi efficiente.
La situazione è talmente surreale e insieme agghiacciante, che nessuno osa mettere piede nel Ciudad Barrios, eccetto un coraggioso cronista, Adam Hinton. Nel 2013 il fotografo londines è riuscito a entrare nella struttura e ritrarre i reclusi che si sono lasciati immortalare nei loro corpi ricoperti di tatuaggi che arrivano a coprire anche il volto, raccontano la storia della loro carriera criminale come un curriculum vitae stampato sulla pelle. Questi incredibili ritratti sono stati raccolti nel libro ”MS-13”, recentemente pubblicato dalla casa editrice Panos.
Aldo Musci