Gli attentati di Bruxelles ci fanno precipitare in uno stato d’animo di angosciosa impotenza. Questo è un supplemento culturale. Bene, che risposta può dare la cultura?
Diceva un classico: “Non ridere, non piangere, ma capire”. Come si può capire una alterità così buia, imperscrutabile? Certo, l’esclusione, i quartieri-ghetto, la povertà, il conflitto sociale, etc., ma tutto questo non spiega tante cose, non spiega ad esempio le Torri Gemelle, dietro cui si profilava la borghesia ricca saudita. Va bene: l’ideologia (la guerra totale all’Occidente ateo e consumistico), dunque un fattore identitario.
Però si tratta di ragazzi arabi che aprono il fuoco su altri ragazzi, a cui magari la sera prima hanno venduto un po’ di “erba”. Insomma sparano su se stessi! Qualcosa sfugge sempre ad ogni interpretazione, e questo bisognerebbe onestamente riconoscerlo. Ma per capire almeno come reagire, “che fare”, proviamo a rivolgerci alla lezione di un grande scrittore, che vive in una regione tormentata, l’israeliano Amos Oz, e al suo elogio del compromesso, che “non significa arrendersi o porgere l’altra guancia, ma riuscire a incontrare gli altri a mezza via”. Un elogio impopolare, perché per molti implica il venir meno a principi puri. Certo, a 18 anni, si sa, ci sentiamo idealisti. Aspiriamo ad un’esistenza adamantina. Disdegniamo il compromesso, che ci sembra un accordo amorale.
Più in là però potrebbe accaderci di fare una scoperta che rivoluziona il nostro vocabolario morale: “e se il contrario del compromesso non fosse l’idealismo ma il fanatismo”, come dice Oz? Quello che di solito smaschera i fanatici è l’enfasi morale: sono infatti “un punto esclamativo ambulante”, e si riconoscono per l’inclinazione “a rendere migliore il tuo vicino, educare il tuo coniuge, programmare tuo figlio, raddrizzare tuo fratello, piuttosto che lasciarli vivere”. Quante sciagure sono nate dalla smania di migliorare il prossimo e di correggerlo per il suo bene. Naturalmente il compromesso non è mai felice. Anzi “fa male”, sia tra le persone ne sia tra i popoli, che devono cedere su alcuni punti che loro ritengono fondamentali.
Nel dizionario alla voce “compromesso” leggiamo: “soluzione incompleta, e spesso discutibile sul piano morale, cui si è costretti da motivi contingenti”. Secondo Oz – e questa è la specificità del suo discorso – alla “soluzione incompleta” siamo “costretti” non solo dalla contingenza ma dal riconoscimento del carattere imperfetto e infinitamente mutevole della natura umana. Al di là della qualità del compromesso che ci proponiamo di raggiungere il punto di partenza è una nozione molto realistica e direi ragionevolmente tragica dei conflitti, che non si risolvono convivialmente, solo bevendo insieme un caffè, come lo scrittore fa notare. Meditando sulle stragi di Bruxelles, e su quanto di enigma rimane in esse, ricordiamoci anzitutto del compromesso come arte del vivere la pace.