Il mondo è malato. La malattia è cronica. Il crimine dilaga dando forma e sostanza al lato oscuro della globalizzazione. Nessun angolo del pianeta è indenne dall’infezione. Mafie e terrorismo ne sono le cause primarie, ma si tratta in realtà soltanto di epifenomeni che affondano le loro nefaste radici nel disordine geopolitico internazionale. Oltre al medio Oriente, una delle aree continentali più colpite dal virus della violenza è l’America latina. In queste terre, che Jorge Amado ha definto “del finimondo”, sono nate, hanno operato e proliferato alcune delle organizzazioni criminali più efferate che la Storia conosca. Parliamo dei cartelli della droga colombiani, dei Los Zetas messicani e dei narcos brasiliani. Proprio nel Paese che ha recentemente ospitato le ultime Olimpiadi è attualmente in corso una sanguinosa guerra fra trafficanti che ha preso il via all’interno delle carceri.
“Il mix tra sovraffollamento e bande criminali ha creato una situazione esplosiva in due prigioni al nord del Brasile – scrive Giulia Bonaudi ne Il Giornale – Almeno 25 detenuti sono rimasti uccisi in uno scontro tra due fazioni rivali, tra questi sette dei detenuti uccisi sono stati decapitati e altri bruciati vivi”. Si tratta dei penitenziari di Boa Vista, capitale dello stato del Roraima, e Porto Velho, situata nello stato di Rondônia. I torbidi sono scoppiati durante le consuete visite dei familiari della domenica. Alcuni carcerati, armati di coltelli e bastoni, sono riusciti a entrare in un’altra ala del penitenziario, dove sono rinchiusi esponenti di un gruppo criminale rivale, e hanno iniziato il massacro. Dieci detenuti sono stati trucidati. La furia cieca dei galeotti non ha risparmiato neanche i familiari: almeno un centinaio di essi sono stati tenute in ostaggio fino all’intervento di una task force della polizia. I rivoltosi hanno dato sfogo senza freni alla propria rabbia. Lo testimonia un episodio per tutti: alcuni detenuti hanno decapitato un loro malcapitato compagno di cella, poi hanno calciato la testa mozzata, dando così inizio a una scellerata partita di calcio.
La “guerra geopolitica del narcotraffico” – la definita il PM brasiliano, Sergio Marcio Christino – che vede contrapposti il PCC (Primeiro Comando da Capital, traducibile come Primo Commando della Capitale), e dall’altro il CV (Comando Vermelho, Commando Rosso). Le due gang più grandi del Brasile, un tempo alleate nella spartizione del narcotraffico e adesso in lotta aperta.
La scintilla è stata la dipartita prematura di Jorge Rafaat Toumani, potente narcotrafficante di Pedro Juan Caballero, al confine tra Brasile e Paraguay. Soprannominato “il re della frontiera”, il boss controllava il traffico al confine con il Paraguay e riforniva di marijuana le due bande. Caduto in un’imboscata, Toumani è stato falciato da una scarica di piombo calibro .50. Di qui l’inferno, fuori e dentro l’universo carcerario. Le proporzioni dello scontro, data l’entità delle forze in campo, sono infatti abnormi. C’è chi parla, addirittura, di possibile “guerra civile”.
Il Il Pcc conta un esercito di 11.400 membri, dei quali 8.807 detenuti nelle carceri del Paese. Ogni anno per le mani di PCC transitano circa 72 milioni di reais (32 milioni di dollari), frutto delle vendite della droga. Ben 135 dei 152 carceri dello stato di San Paolo sono controllati da PCC, che trasmette gli ordini ai suoi affiliati in libertà, i quali devono inviare 400 dollari al mese all’organizzazione. Se un membro PCC è in carcere, il denaro è destinato alla sua famiglia e alle spese per l’a
l’assistenza legale.
Il Comando Vermelho, invece, ha radici più antiche risalendo al 1969, quando nella prigione di Cândido Mendes, nell’isola Ilha Grande (Rio de Janeiro), si cementò la connessione fra prigionieri comuni e militanti della Falange Vermelha (falange rossa), il gruppo della sinistra militante che ha combattuto la dittatura militare. Durante gli anni ’90 è stata la più forte di tutta Rio de Janeiro, ma oggi i principali capi sono stati arrestati o sono morti, perdendo potere.
Anche il PM di São Paulo, Lincoln Gakiya, evoca lo spettro della guerra nazionale fratricida. Non mancano i precedenti. Nella primavera del 2006 il PCC ha letteralmente bloccato la città di San Paolo. I suoi membri hanno attaccato simultaneamente le banche, gli autobus, gli edifici pubblici e le prigioni per 4 lunghissimi giorni. 150 morti, il bilancio di quell’esplosione anarco-criminale.