Dipingere l’uva: con precisione maniacale, con sapienza meticolosa, ogni volta reinventandola, riscoprendola, illuminandola. Come poteva fare il pittore medievale di icone che si ispira sempre all’Immagine Rivelata, o un miniaturista bizantino che per tutta la vita riproduce la stessa figura.
Così Giuseppe Falchetti, canavese di origini umili (padre falegname, madre contadina) e poi stabilitosi a Torino a 12 anni, pittore ottocentesco di paesaggi e poi soprattutto di nature morte: la precisione con cui riproduce verdure, fiori, cacciagione evoca la preziosa arte fiamminga.
Si specializza così tanto in questo ultimo genere, e in particolare sui grappoli, che nel 1876 riceve l’incarico governativo di riprodurre le uve italiane da vino e da pasto in tavole a colori. Nello stesso anno dipinge anche una mirabile veduta del Colosseo, che qui riproduciamo.
Poi muore nel 1918 e viene seppellito nel paese natale, Caluso Ferdinando Viglieno Cossalino ha dedicato al pittore una corposa e ricchissima monografia, Giuseppe Falchetti 1843-1918. Una vita per la pittura (Il Punto – Piemonte in bancarella), oltre 400 pagine per 500 illustrazioni. La sua riproduzione degli oggetti naturali aveva del prodigioso.
A proposito di uva. Plinio il Vecchio racconta la competizione tra i due pittori Parrasio e Zeusi, del V secolo. Mentre questi presentò dell’uva dipinta così bene che gli uccelli si misero a svolazzare sul quadro, quello espose una tenda dipinta con tanto verismo che Zeusi, pieno d’orgoglio per il giudizio degli uccelli, chiese che, tolta la tenda, finalmente fosse mostrato il quadro.
Poi, essendosi accorto dell’errore, gli concesse la vittoria: se infatti Zeusi aveva ingannato gli uccelli, Parrasio aveva ingannato lui stesso. Ecco, scorrendo nel libro le preziose tele di Falchetti, il lettore – abbagliato dalla loro perfezione naturalistica – non può che evocare Zeusi.