Il “limbo istituzionale in cui si trovano gli enti decentrati dopo la bocciatura del referendum costituzionale dello scorso dicembre” è un elemento che dovrebbe far andare cauti nel celebrare la ripresa in rafforzamento, con il Pil che secondo le ultime stime di osservatori e membri del Tesoro potrebbe segnare +1,5% alla fine dell’anno. La crisi, in termini di spesa per consumi, ha colpito in misura più accentuata le regioni del Mezzogiorno nelle quali la riduzione, in termini di variazione media annua, è stata del 2,4% tra il 2008 e il 2013, peggiore di circa un punto all’anno rispetto alle dinamiche osservate nelle regioni settentrionali. Lo sottolinea Confcommercio nella “Nota sulle economie territoriali” presentata ieri. “Pertanto – prosegue Confcommercio – essendo i consumi pro capite un indice di benessere economico meno approssimativo del Pil, il peggioramento delle condizioni di vita nel sud del Paese è stato piuttosto grave, sia in termini assoluti sia in comparazione con il resto dell’Italia”.
Al Sud il Pil pro capite è pari al 53% di quello del Nord-ovest, valore ancora inferiore a quanto registrato nel ’95 (54,5%). L’Italia è, dunque, sempre spezzata in due dal punto di vista economico. La stessa ripresa economica si sta consolidando più al centronord che nell’Italia meridionale. Quindi c’è ancora da stare attenti sulla continuità di una fase positiva che si sta ancora consolidando e che “è ancora avvolta da molte incertezze. L’impulso a fidarsi poco dei risultati congiunturali nasce dalla scarsa intensità dell’attuale ripresa: essa appare meno vigorosa sia rispetto alle precedenti analoghe fasi cicliche italiane quanto, soprattutto, nel confronto internazionale”. In questa ‘Nota sulle economie territoriali’ della Confcommercio si evidenzia come la crisi economica abbia evidenziato i problemi, anche di riassetto istituzionale e quindi non solo economico, che erano già presenti nella differenziazione tra le diverse aree del Paese.
“Declinando la ripresa sulle economie territoriali – si legge nel Rapporto – si aggiunge un fattore di grave fragilità, in relazione alla situazione di limbo istituzionale in cui si trovano gli enti decentrati dopo la bocciatura del referendum costituzionale dello scorso dicembre. Il deficit, in realtà, riguarda più la sostanza che la forma istituzionale. Le prospettive del federalismo in termini di competenze, capacità di spesa e potestà impositiva appaiono generalmente ridotte rispetto al passato e, comunque, confuse, se apprezzate in una logica (mancante) di strategia di lungo termine”.
“Attualmente – spiega l’associazione – l’impressione è di una passività di regioni ed enti locali rispetto a una tendenza alla ricentralizzazione della fiscalità prima ancora che delle funzioni pubbliche. Pure non condividendo la tesi di chi sostiene che maggiore spesa pubblica, magari in investimenti, sia l’unica soluzione alla crescente divaricazione regionale cui si assiste, confermata oggi nonostante qualche recente segnale di ripresa del Sud, non si può trascurare di rilevare come manchi un progetto di riduzione dei gap infrastrutturali tra le diverse regioni italiane. E’ irrinunciabile che su questo punto, anche cogliendo l’occasione della prossima lunga campagna elettorale, la politica e le istituzioni si pronuncino con chiarezza”.
Il Mezzogiorno soffre sempre di una bassa crescita (solo +3,3% cumulato nel periodo), leggermente inferiore in termini di consumi (+2,8%) e decisamente preoccupante sul fronte occupazionale (solo +0,4% cumulato).
Si tratta di tassi di incremento pari a circa un quarto della media nazionale e addirittura ad un sesto rispetto a quelli della ripartizione più dinamica, cioè il Nord-est.
Per quanto riguarda ciascuna regione, si evidenzia il peso della crisi su Valle d’Aosta per Pil e occupazione, Liguria per consumi e popolazione, Umbria sempre per il Pil, Molise per Pil e popolazione e la Calabria per consumi, occupazione e popolazione. Dopo ventidue anni queste regioni sono al di sotto dei livelli del 1995.
“Tanto più che la crisi – rileva Confcommercio – che oggi si può collocare nei due bienni 2008- 2009 e 2012-2013, oltre ad aver riportato l’economia italiana sui valori di metà anni ’90 ha avuto tra le conseguenze più pesanti l’interruzione del pur modesto processo di convergenza tra le diverse aree, lasciando in eredità un Paese sempre più diviso in termini di ricchezza prodotta, consumi e occupazione”.
Nel 2007 il Pil pro capite della Calabria, la regione con il più basso prodotto per abitante, era pari a poco più del 48% di quello del Trentino Alto Adige, la regione con il maggior prodotto: questo rapporto nel 2013 è sceso al 43,8%. La ripresa avviatasi nel 2014 ha coinvolto tutti i territori mostrando spunti di vivacità anche nel Mezzogiorno. Tuttavia, essa non sembra in grado di tracciare un sentiero di sviluppo atto a determinare un significativo avvicinamento tra le diverse aree del Paese.
La tendenza al miglioramento del mercato del lavoro, al momento abbastanza diffusa tre le regioni, non appare sufficiente a fare recuperare nel 2017 i livelli occupazionali raggiunti prima del 2008. Nel Mezzogiorno si ritornerebbe soltanto ai valori della metà degli anni ’90 e in Sicilia e Calabria neppure a quelli.