Fino al 1870, a Roma vi fu la sede dello Stato pontificio, espressione del potere temporale della Chiesa. Furono secoli di permanenza papale nell’Urbe, parzialmente interrotti solo dalla “cattività avignonese” (1309 – 1377). Di ritorno dalla Francia, il Papato si diede a ricostruire Roma, facendone in breve tempo un cantiere internazionale, dove non mancarono anche sperimentazioni e soluzioni innovative.
La vocazione universale del pur piccolo Stato pontificio si rifletteva nelle relazioni finanziare che doveva intrattenere con le varie regioni europee. In tale frangente, essenziale risultò l’apporto delle attività bancarie fiorentine, che trovarono nella Curia romana uno dei loro clienti più promettenti. Alcune famiglie toscane (Medici, Barberini, Chigi, Piccolomini) arrivano addirittura al soglio pontificale.
Conseguentemente, a ridosso di San Pietro vennero sorgendo le dimore eleganti e talvolta sontuose di tali grandi famiglie toscane. Il luogo prescelto, costituito dall’estremità nord-occidentale della pianura di Campo Marzio prospiciente San Pietro era il Rione Ponte, ossia la “regione” (distretto amministrativo augusteo) legata al celeberrimo Ponte Elio, poi Sant’Angelo, che conduceva alla Mole adrianea, divenuta in seguito Castel Sant’Angelo.
Quest’area divenne il centro finanziario dello Stato pontificio, come attestato ancora oggi dall’odonomastica rionale. La sua rete viaria di fronte San Pietro era difatti imperniata (sebbene oggi parzialmente interrotta dallo sventramento di Corso Vittorio Emanuele II) su tre vie dai nomi significativi: Via dei Banchi Vecchi – che ospitò la Zecca fino al 1504 nel Palazzo Sforza Cesarini – , Via dei Banchi Nuovi e Via del Banco di Santo Spirito – dove venne aperta la Zecca nel 1504. Senza dimenticare la “via mercatoria”, divenuta in seguito alla ristrutturazione del Bramante via Giulia.
Il nome “Banchi” si riferisce ai tavoli dove negozianti e banchieri (ma anche cambiavalute, notai e scrivani) esercitavano i loro affari; il termine “bancarotta” ancora oggi conserva la memoria di un tale strumento lavorativo.
Inoltre, volendo abbellire la città alla maniera rinascimentale, i pontefici avevano bisogno di fondi per finanziare i lavori; da qui i prestiti dai “banchi” ed in cambio acquisizione di molti privilegi, quali titoli nobiliari (marchesati, contee, ducati) e gli appalti, tra i quali ricordiamo ai fiorentini Sacchetti quello del legname e ai Chigi senesi l’amministrazione dello stato con Agostino Chigi che divenne il più famoso dei banchieri. In via Giulia vi erano le ville dei banchieri toscani con giardino-solarium ad affaccio privato sul Tevere.
Questa vera e propria enclave fiorentina (via del Consolato indicava la sede dell’ambasciata fiorentina) trovava il suo epicentro nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, dedicata al Battista, patrono di Firenze, che affaccia su piazza dell’Oro.
L’aureo giglio fiorentino si specchiava così nel Tevere davanti San Pietro, a suggello dei primi “migranti” venuti – dopo le invasioni barbariche – nella Città Eterna.