A dirlo è stato ieri il ministro per gli Affari regionali, Enrico Costa, intervenendo in audizione presso la Commissione parlamentare per l’Attuazione del Federalismo fiscale, a Palazzo San Macuto. In riferimento alla riforma costituzionale, il ministro ha sottolineato che “si sono soppresse le Province e stabilito che le competenze relative a questi enti, diverse dalla definizione dei profili ordinamentali generali che restano di competenza dello Stato, spettino alle Regioni”.
“Sarà necessario – ha detto ancora Costa – non solo chiedersi se e come riprendere il filo di un sistema di finanziamento virtuoso di questi enti, ma anche in che misura il sistema di finanziamento degli enti di area vasta debba essere assicurato attraverso un’adeguata autonomia fiscale ad essi assegnata e in che misura, invece, esso debba essere inglobato nella finanza regionale, lasciando poi ad ogni regione il compito di definire il fabbisogno da assicurare ad essi”.
Il titolare delle Regioni ha inoltre aggiunto che, “se la riforma da un lato decostituzionalizza e sopprime le Province, dall’altro dà esplicita copertura costituzionale alle forme associative dei Comuni”. Anche a queste forme associative, proprio perché costituzionalmente previste e garantite “dovrebbero essere perciò riconosciute risorse proprie o comunque risorse incentivanti che segnino non solo una ‘convenienza’ dei Comuni ad associarsi, ma anche un vero e proprio salto qualitativo del livello amministrativo locale”. Costa ha evidenziato, infine, come la modifica dell’art. 116 terzo comma della Costituzione, in materia di regionalismo differenziato, prevista dalla riforma costituzionale, possa contemplare forme e condizioni particolari di autonomia ed introdurre, come condizione indispensabile, il rispetto da parte della Regione stessa del vincolo di equilibrio di bilancio (in conformità a quanto previsto dalla legge rinforzata n.243 del 2012). “Questo costituisce – ha concluso il ministro – un elemento importante per dar vita a un sistema di regionalismo a geometria variabile, basato da un lato su un incentivo forte alle regioni a tenere comportamenti virtuosi nella gestione dei loro bilanci e dall’altro in un interesse comune dello Stato e delle Regioni a che ognuna che rispetti tali vincoli possa ottenere forme e condizioni di autonomia che le consentano di sviluppare le proprie vocazioni”. Un regionalismo virtuoso e flessibile che, fermo restando il vincolo non negoziabile del pareggio di bilancio, possa consentire forme molto innovative di “alleanza” tra Stato e singole Regioni o forse è più esatto dire, singoli sistemi regionali, comprendenti anche gli enti territoriali che ne fanno parte.