Le alterazione climatiche stanno producendo un fenomeno meteorologicamente schizofrenico: alluvioni da una parte, siccità dall’altra. Diverse aree del pianeta sono colpite duramente. In tale dinamica devastatrice desta particolare preoccupazione il fenomeno della desertificazione. Non a caso, si è svolta ieri, 17 giugno, la Giornata mondiale di contrasto all’avanzata dei deserti, indetta dall’ONU nel 1995 per ricordare l’adozione a Parigi il 17 giugno 1994 della Convenzione UNCCD, che persegue l’obiettivo di mitigare gli effetti della siccità attraverso attività di cooperazione internazionale e accordi di partenariato nei paesi più vulnerabili, in particolare in Africa. Intanto, si perdono nel mondo 12 milioni di ettari di terra fertile ogni anno. E un miliardo e mezzo di persone traggono il loro sostentamento da terreni a rischio desertificazione. Le cause principali principali del fenomeno sono il riscaldamento globale, lo sfruttamento intensivo del terreno e l’inquinamento. Ecco perché le strategie messe in campo mirano al miglioramento della produttività del suolo e alla gestione sostenibile del territorio e dell’acqua. Il target per i prossimi 25 anni è il raggiungimento della neutralità del degrado del territorio (Ldn), affinchè le perdite di terreno fertile siano controbilanciate da progressi in altre aree degradate.
L’Italia ha ratificato la sua adesione alla UNCCD nel 1997, sia in veste di paese donatore, sia come paese colpito dalla desertificazione. Il Comitato Nazionale di Lotta alla Siccità e alla Desertificazione (CNLSD) è stato istituito nel 1997 dal Ministero dell’Ambiente con il compito di coordinare l’attuazione della Convenzione in Italia. Il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) nel 1999 ha adottato il Programma di azione nazionale per la lotta alla siccità e alla desertificazione. Qual è, nel frattempo, la situazione della Penisola?
L’allarme lo ha lanciato la Coldiretti rendendo noti alcuni dati eloquenti: Un quinto del territorio italiano è a rischio desertificazione a causa dei cambiamenti climatici, ma anche del progressivo consumo di suolo e della mancata valorizzazione dell’attività agricola nelle aree più difficili. Dati confermati anche dal Cnr: in Sicilia le aree a rischio sono il 70%, in Puglia il 57%, nel Molise il 58%, in Basilicata il 55%, mentre in Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50%. A sua volta, l’UNCCD ha dichiarato colpiti da desertificazione 13 Stati membri dell’Ue: Italia, Bulgaria, Cipro, Croazia, Grecia, Lettonia, Malta, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Ungheria.
Secondo il Centro Euromediterraneo per i Cambiamenti Climatici, inoltre, “entro fine secolo in Italia la temperatura potrà aumentare tra 3 e i 6 gradi, con un’estremizzazione del nostro clima accompagnata da precipitazioni violente alternate a periodi di aridità.
Che si può fare per contrastare il duplice fenomeno?
“In un Paese comunque piovoso come l’Italia che, per carenze infrastrutturali trattiene solo l’11% dell’acqua, occorre un cambio di passo nell’attività di prevenzione – risponde il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, e aggiunge – bisogna evitare di dover costantemente rincorrere l’emergenza con interventi strutturali”. A sottolineare la necessità della prevenzione interviene anche il Ministro delle Politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, Gian Marco Centinaio, citando taluni interventi concreti : “Nell’ultimo anno abbiamo investito oltre 900 milioni per riammodernare il settore irriguo e per fronteggiare concretamente i problemi di siccità e carenza idrica che danneggiano il nostro settore agricolo e la competitività del Made in Italy agroalimentare”.