La nomina del Presidente dell’Aifa sta assumendo un profilo discutibile. Una prassi consolidata, per la quale il governo si attiene alle indicazioni delle Regioni, dopo anni mostra il suo lato debole. Si fatica a comprendere come una consuetudine, giocata sul fair play istituzionale – in quanto collegata a una logica di equilibrio costituzionale e legislativo in ordine alle competenze sulla sanità – si possa trasformare in assoluta e insindacabile opzione delle Regioni.
Non si tratta, per altro, di qualcosa che attenga precipuamente al rapporto tra servizi e territorio, tale cioè da legittimare, senza riserve, lo specifico diritto di nomina. Di fatto si finisce, invece, per autorizzare il sospetto di una qualche alterazione dei principi e delle forme dell’autonomia riconosciuta a un organismo tecnico di grande prestigio e delicatezza.
Da notare, inoltre, che in questo contesto poco sereno, viste le tensioni a suon di accuse tra le parti, emerge inattesa la “discesa in campo” dei possibili candidati in una improbabile campagna elettorale. Se un’Agenzia tecnica di trasforma in terreno di confronto politico, con un grave cedimento in alcuni casi ai riti della personalizzazione, quasi che la pubblica opinione debba prendere parte alla scelta di un leader a investitura popolare, allora il rischio è davvero quello di comprimere e deteriorare il quadro di riferimento delle attività e delle funzioni di un corpo specializzato nell’accreditamento dei farmaci di natura prettamente istituzionale.
È dunque preferibile, in un contesto di condizionamenti o pressioni ingiustificate, che sia il Governo a ricercare con sollecitudine la mediazione più consona a sbloccare l’attuale impasse, effettivamente spiacevole e dannosa. Va trovato in fretta il punto di equilibrio tra diverse aspettative, superando a ogni livello la pretesa d’imporre soluzioni gradite.