Dopo essere state esposte a Roma con quelle di San Pio da Pietralcina per volontà di Papa Francesco in occasione del Giubileo della Misericordia, le reliquie di San Leopoldo Mandic, dall’11 al 14 febbraio sono nel Santuario di Loreto.
Per i padovani dire il Santo rimanda implicitamente ed esclusivamente a Sant’Antonio, mentre padre Leopoldo benché beatificato nel 1976 da Paolo VI e santificato nel 1983 da Giovanni Paolo II resta il frate cappuccino di Santa Croce, colui che ne ha ascoltate tante accogliendo sempre tutti e con il quale rimane una grande confidenza anche nella preghiera.
Leopoldo (1966-1942) nacque a Castelnuovo di Cattaro, l’odierna Herceg-Novi in Montenegro, il 12 maggio 1866, penultimo di sedici figli di una famiglia cattolica croata. Al battesimo ricevette il nome di Bogdan Ivan. A Castelnuovo, all’epoca situato nella provincia di Dalmazia, a sua volta parte dell’impero austriaco, prestavano la loro opera i frati francescani Cappuccini della Provincia Veneta (vi si trovavano fin dal 1688, epoca del dominio della Repubblica di Venezia. Il piccolo Bogdan manifestò nel corso degli anni il desiderio di entrare a far parte dell’ordine dei Cappuccini. Per il discernimento della vocazione religiosa fu accolto nel seminario di Udine e poi nel 1884, ormai diciottenne, al noviziato di Bassano del Grappa (Vicenza) dove vestì l’abito francescano, ricevendo il nome di frate Leopoldo. Dal 1885 al 1890 completò gli studi filosofici e teologici nei conventi del Santissimo Redentore a Venezia e nel convento di Santa Croce a Padova. Nel settembre del 1890 fu ordinato sacerdote per mano del cardinale Domenico Agostani.
Leopoldo pioniere dell’ecumenismo
Sin dal 1887 Leopoldo promosse l’unione dei cristiani orientali separati con la Chiesa cattolica. Fece domanda per partire verso le missioni d’Oriente nella propria terra, secondo quell’ideale ecumenico, divenuto poi voto, che coltivò fino al termine della sua vita, ma la salute cagionevole sconsigliò i superiori dall’accettare la richiesta. Ut unum sint, che siano una cosa sola, era solito ripetere. A Padova, nel convento di Santa Croce arrivò nel 1909 e l’anno successivo fu nominato direttore degli studenti, cioè dei giovani frati cappuccini che frequentavano lo studio della Filosofia e della Teologia. A differenza di altri docenti Leopoldo (che insegnava Patrologia) si distinse per grande benevolenza in contrasto con la tradizione dell’Ordine ed anche per questo motivo nel 1914 fu sollevato dall’insegnamento. Da quell’anno in poi gli venne chiesto l’impegno esclusivo nel ministero della riconciliazione. Le sue doti di consigliere spirituale erano note da tempo, tanto che nel giro di pochi anni divenne punto di riferimento nella confessione di moltissime persone di ogni estrazione sociale, che per incontrarlo arrivavano da ogni parte della regione.
Gli annali della provincia veneta dei Cappuccini riportano: “Nella confessione esercita un fascino straordinario per la grande cultura, per il fine intuito e specialmente per la santità della vita. A lui affluiscono non solo popolani, ma specialmente persone intellettuali e aristocratiche, a lui professori e studenti dell’Università e il clero secolare e regolare”.
Nell’ottobre del 1923 i superiori religiosi lo trasferirono a Fiume, dopo che il convento fu passato alla provincia veneta, ma a soltanto una settimana dalla sua partenza il vescovo di Padova, Elia Dalla Costa, interprete della cittadinanza, invitò il ministro provinciale dei francescani Cappuccini a farlo rientrare. Così a Natale di quell’anno padre Leopoldo, obbedendo ai superiori e congedando il sogno di lavorare sul campo per l’unità dei cristiani, tornò a Padova e qui rimase circondato dall’affetto dell’intera città.