La Corte di cassazione boccia l’Iva attribuita alla tassa rifiuti con la sentenza n. 23949/2019. Un gigantesco problema potrebbe, di conseguenza, aprirsi per il sistema dei tributi locali se le Sezioni Unite confermeranno questa pronuncia. Nel motivare la decisione la Corte parte dalla ricostruzione della relativa normativa. L’ 49 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio: il cosiddetto “decreto Ronchi”), successivamente modificato dall’art. 1, comma 28, della legge 9 dicembre 1998, n. 426, e dall’art. 33 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (finanziaria 2000), stabilì l’obbligo per i Comuni di effettuare, in regime di privativa, la gestione dei rifiuti urbani e assimilati. E, in particolare, d’istituire una “tariffa ” per la copertura integrale dei costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade e aree pubbliche e soggette a uso pubblico all’interno del territorio comunale. Ciò premesso, il problema investe la Tia 2, introdotta nel 2006, e la «Tarip», cioè la versione «puntuale» della Tari che dovrebbe misurare la bolletta in base alla quantità di rifiuti prodotti.
Tuttavia, come già considerato in passato dalla Corte Costituzionale, sussiste una pregiudiziale sull’Iva sulla base del fatto che la Tia 1 era un corrispettivo nel nome, ma un tributo nei fatti, perché ancorata a parametri fissi e non alla quantità effettiva del servizio utilizzato. La Cassazione osserva, pertanto, che la nuova tariffa «è un importo dovuto in ragione del possesso o della detenzione di locali o aree» ed è parametrato per legge a «una presuntiva produzione di rifiuti» sulla base delle «quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie».
In un contesto del genere, che tra l’altro «non attribuisce alcun sostanziale rilievo alla volontà delle parti nel rapporto fra gestore e utente del servizio» perché nessuno può rifiutarsi di utilizzare il gestore comunale, i giudici non intravedono ciò che contraddistingue le caratteristiche di una tariffa corrispettiva. Adesso dovrà pronunciarsi in merito la Cassazione a sezioni unite. Se il verdetto dovesse essere positivo, si aprirà la strada a milioni di rimborsi, ma per le annualità vecchie bisogna stare attenti alla prescrizione di 5 anni, anche se alcuni ritengono che trattandosi di Iva potrebbe essere chiesta la restituzione fino a 10 anni addietro.