Si può guardare alla sharing economy o, come felicemente si usa dire da tempo in italiano, all’economia della collaborazione con occhio benevolo o legittima preoccupazione, mai con indifferenza. È un fenomeno che attraversa le società, un po’ ovunque nel mondo, senza limiti di confini. Non valgono le diversità di tradizioni e di lingua, né impediscono la contaminazione i modelli e gli ordinamenti che caratterizzano nazioni, come quelle del Far East, molto lontane dall’assetto socio-economico dell’Occidente.
Gli studiosi hanno cominciato a interrogarsi sulla natura di un processo quasi spontaneo, in larga parte indotto dalla necessità di mitigare gli effetti della competizione mondiale proprio sul terreno della efficienza e della razionalità produttiva. In realtà, anche la ricerca del massimo di produttività spinge il capitalismo ad aprire varchi a questa dimensione economica caratterizzata dal riciclo e dalla funzionalità, con la ricerca di grandi risparmi sui costi fissi e l’azzeramento tendenziale dei costi marginali. A rendere più complessa l’analisi, sopraggiunge dunque la percezione di un intreccio inevitabile tra esaltazione della libera concorrenza ed espansione delle forme di cooperazione più o meno spontanee.
In definitiva, il meccanismo della ottimizzazione delle risorse produce la contestuale animazione di un mercato alternativo con regole e finalità dettate dalla esigenza di accogliere in tutte le sue potenzialità il dispositivo della solidarietà tra gruppi sociali e professionali, categorie di produttori e filiere di consumatori, gestori di servizi e singoli utenti. È una rivoluzione. Lo è, in particolare, perché sfrutta i cambiamenti introdotti dalle tecnologie informatiche. Il web rappresenta l’universo privilegiato di questa espansione dei servizi disintermediati, resi ancora più accessibili e sicuri in forza della straordinaria innovazione della “nuvola” (cloud) in cui si raccolgono dati e informazioni su scala pressoché infinita. Vuol dire che la dematerializzazione di molti processi, specie in alcuni servizi, procede a tappe forzate.
Jeremy Rifkin sostiene da anni che questo cambiamento rappresenta la terza rivoluzione industriale. D’ora in poi, ha dichiarato l’autore de La società a costo marginale zero (Mondadori 2015), ultimo di una serie di saggi dedicati all’argomento, “assisteremo all’emergere di un sistema ibrido nel quale dovranno convivere l’economia capitalista fondata sul mercato e la sharing economy e che possiamo considerare la Terza Rivoluzione Industriale. E il capitalismo dovrà consentire alla neonata economia dello scambio di crescere e di trovare la sua identità in questo mondo” (L’Espresso, 17 agosto 2015). Il problema, allora, è capire quale possa o debba essere questa identità: non regge, alla lunga, una economia semplicemente al di fuori (o al d là) dalle norme tradizionali, sospesa in una bolla di eccezionalità a rischio di violazione di sani e corretti criteri di legittimità.
Superficialità, pregiudizi e ostracismi contribuiscono a ingarbugliare il quadro. Sta di fatto che parte dell’attività economica generata dalla sharing economy sfugge al controllo del regime tributario. È un problema anche per gli enti locali, se è vero che l’offerta di ospitalità a basso costo, veicolata attraverso siti specializzati, salta a pie’ pari la tassa di soggiorno. Firenze, ad esempio, si è fatta carico di presentare uno scema di provvedimento di legge per “ingabbiare” un’attività – sempre rientrante nel canone dello scambio e del riuso – che nelle principali città d’arte italiane assume oramai connotati e dimensioni considerevoli.
Altri casi indicano la medesima necessità, ovvero l’obbligo di arrivare quanto prima alla ricompensione in chiave legislativa e regolamentare di questa nuova dialettica tra economia di mercato tradizionale ed emergente economia della condivisione. Anche in questa vicenda gli amministratori locali sono in prima fila. Va colto senza dubbio, in mezzo a processi contraddittori, l’aspetto positivo e costruttivo. In prospettiva, con la riduzione dei costi di servizi e prestazioni, potrebbero liberarsi non poche risorse da destinare al welfare locale. In tutti i sensi, per gli scenari che apre, è una grande opportunità da non perdere.