Il tempo della dichiarazione dei redditi è da poco trascorso, così i contribuenti hanno pagato o hanno incassato un risarcimento per le tasse eccessive versate durante l’anno. Hanno dovuto anche effettuare delle scelte dichiarando quanto hanno guadagnato l’anno precedente: a chi destinare l’8Xmille e il 5Xmille. E poi, in genere, se ne sono dimenticati. Che fine avranno realmente fatto i fondi che hanno destinato? Pochi se lo chiedono, ma il quesito non è privo d’interesse, perché è importante sapere come vengano spesi i soldi dei contribuenti. Tema delicato che ha visto intervenire anche la Corte dei conti, la quale si è soffermata soprattutto sulle eventuali interferenze esercitate dai Caf nel processo decisionale dei contribuenti. Rischio peraltro confermato dall’Agenzia delle Entrate che ha evidenziato certi “comportamenti scorretti degli intermediari, alcuni dei quali in potenziale conflitto d’interesse con l’attività di raccolta delle volontà dei contribuenti in quanto essi stessi fruitori del 5 per mille o in stretto legame con i beneficiari”.
Ha affrontato l’argomento pure il magazine online Vita, che ha dedicato all’impiego da parte dei Comuni delle risorse derivanti dal 5Xmille un dettagliato articolo di analisi. Occorre tener presente, in primo luogo, che sussiste l’obbligo a carico delle amministrazioni locali di trasmettere, entro un anno dalla ricezione dei soldi, il rendiconto e la relazione illustrativa al Ministero dell’interno, il quale, a sua volta, li pubblica su una pagina Internet dedicata. Sono tenuti a farlo, però, soltanto i Comuni che abbiano incassato più di 20mila euro. Vediamo come stanno le cose. “Al momento sono disponibili i dati di 20 dei 57 enti locali che hanno ricevuto i fondi nel 2017 (somme relative all’anno finanziario 2015) e di 53 dei 54 premiati dai concittadini con la quota Irpef dell’anno finanziario 2014. «Verifichiamo il rispetto delle scadenze, l’impiego per finalità sociali e la rendicontazione delle sole somme ricevute. Talvolta infatti i Comuni, ma è un dato non richiesto, certificano anche l’uso degli eventuali fondi propri aggiuntivi», spiega Renato Berretta della Direzione centrale della Finanza locale del Viminale. Schio, ad esempio, risulta essere il primo Comune, ad aver presentato la documentazione sull’utilizzo del 5 per mille versato dai residenti che hanno optato per il loro municipio. Con i 24.444 euro ricevuti ha assegnato un contributo per le spese sopportate dalle famiglie più bisognose per il riscaldamento domestico.
Verona e Genova – segnala l’articolo di Vita – le due città più grandi che finora hanno inviato i report, hanno finanziato con le somme ottenute la prima il progetto “Una risposta alle Nuove Povertà” (77mila euro), la seconda il trasporto e l’accompagnamento delle persone disabili (75mila euro). San Donato Milanese, invece, ha destinato i 24mila euro incamerati alla prevenzione del disagio scolastico e familiare, mentre Sassari a progetti individualizzati di assistenza domiciliare anziani (38mia euro). Più a Sud, Taranto ha concesso contributi abitativi di 300 euro al mese per un anno (27mila euro). Per saperne qualcosa in più sulle grandi città, invece, bisogna fare un passo indietro riferendosi al 2016 (anno finanziario 2014). Milano, sostenuta da 6.134 cittadini, ha utilizzato 340mila euro per retribuire il personale che opera nei Centri diurni per disabili; Roma e Napoli, scelte nella dichiarazione dei redditi da 8.829 e 2.170 contribuenti, hanno impiegato per l’assistenza alle persone senza fissa dimora rispettivamente 398mila e 68mila euro. Focalizzando i dati più complessivi, emerge che, nel 2015, ben 90 municipi hanno percepito zero euro, 1201 meno di 100 euro e, quasi la metà degli enti locali (3.591) fra 100 e 500 euro. “I cittadini non sembrano particolarmente interessati a destinare il 5 per mille ai Comuni. Se si esaminano i dati si scopre che le percentuali più alte vanno ai piccoli paesi nel Nord dove il municipio è l’unico punto di riferimento della comunità o comunque si presenta, più che come una istituzione, come un prolungamento delle varie organizzazioni di volontariato come le Pro loco”, spiega Luigi Bobba, ex sottosegretario alle Politiche sociali. Le scelte espresse dagli italiani che hanno optato per le attività sociali comunali nell’anno finanziario 2016 (ultimo dato disponibile) sono state 547.484 su 16.428.218. Il 3,33% del totale. In termini economici 15,2 milioni di euro su 491,6.
Eppure – sottolinea ancora Vita – il 5 per mille ai Comuni era partito bene nel 2006: 32 milioni di euro raccolti. Crollati a 13 milioni dopo la soppressione dell’opzione per le attività sociali comunali decisa per il biennio 2007-2008 e rimasti poi intorno a quella cifra. Alcuni osservatori ritengono che, essendo i Comuni un’articolazione dello Stato, non debbano essere destinatari del 5Xmille, i cui introiti dovrebbero essere assegnati opportunamente al terzo settore. Un’opinione che, ovviamente non trova d’accordo gli stessi enti locali che, stressati dai tagli al welfare, vedono comunque con favore questa possibilità. Del resto, parecchi interventi sono da loro affidati alle organizzazioni no-profit. Parma, ad esempio, ha utilizzato i 45mila ricevuti euro per pagare i servizi agli homeless forniti da una cooperativa sociale. Altrettanto ha fatto Udine (47mila euro) con “CamminaMenti”, progetto di promozione dell’invecchiamento attivo gestito dal privato sociale. Il ministero dell’Interno, dal canto suo, ha proposto due mosse per contrastare la polverizzazione dei modesti “assegni” devoluti ai Comuni. La creazione di un fondo ad hoc che raccolga i contributi inferiori a una soglia minima e la redistribuzione in base alle reali necessità degli enti locali.