In tempi di sharing economy – intesa come forma emergente di cooperazione sociale produttiva, nella quale l’accesso e l’uso dei beni prevalgono sul diritto alla loro proprietà – la nozione di “beni comuni” assume crescente centralità, di cui le istituzioni, soprattutto quelle territoriali, devono tener conto. Ecco perché la Toscana, prima Regione italiana, ha inserito nel proprio statuto una disciplina dedicata al tema. C’è da chiedersi: con quali obiettivi? Illuminanti le dichiarazioni di Titta Meucci e di Giacomo Bugliani, consiglieri regionali firmatari della proposta di legge statutaria da cui ha preso il via la modifica recente. “Intendevamo aggiornare uno statuto che risaliva al 2005, una vita fa se si pensa all’evoluzione della sensibilità sociale insieme all’affermarsi di nuove forme della democrazia rappresentativa, pur nell’ambito e nel rispetto della Costituzione. Con la modifica statutaria approvata oggi la Regione Toscana… interviene, non solo a consolidare un indirizzo già presente in molti Comuni del nostro territorio, ma anche a sostenere l’azione del governo regionale già da tempo concretamente vicino e attento a quelle forme innovative di collaborazione civica che costituiscono l’essenza del principio di sussidiarietà sancito in Costituzione”.
Non a caso, la norma approvata- segnala il consigliere Tommaso Fattori – pone tra gli obiettivi fondamentali anche “la tutela e la valorizzazione dei beni comuni, intesi quali beni materiali e immateriali e digitali che possano essere riconosciuti d’interesse diffuso, ossia che esprimano utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali della persona, al benessere individuale e collettivo, alla coesione sociale, alla vita delle generazioni future e alla promozione di forme diffuse di partecipazione nella gestione condivisa e nella fruizione dei medesimi”.
In altre parole, si tratta soltanto di teorizzare idilliaci scenari futuri, ma anche di saper riconoscere e tutelare la gran quantità di esperienze che si stanno moltiplicando grazie a gruppi di cittadini impegnati nella cura di beni comuni urbani o rurali. Che sia il piccolo orto urbano, il giardino restituito alla fruizione collettiva grazie all’impegno di abitanti della zona o la fattoria prima abbandonata e degradata e ora finalmente riattivata da un collettivo di contadini, si tratta sempre di forme con cui gruppi di persone si autorganizzano per condividere una risorsa, generando effetti positivi per la collettività e l’ambiente, contrastando lo spreco e il degrado.
In sintesi, il concetto chiave che ispira scelte politico-normative come quelle adottate dal Consiglio regionale della Toscana è semplice ma efficace: non ci sono beni comuni senza relazioni di condivisione, senza una gestione partecipativa. In altre parole, i beni comuni non esistono senza le persone che li creano e li ricreano a vantaggio della collettività”. A loro, dunque, va prestata massima considerazione e cura.