Comuni in ordine sparso nell’applicazione della nuova tassa sugli affitti brevi, soprattutto per quanto riguarda la parte sull’imposta di soggiorno. Sollecitati dall’intervento di un soggetto privato come Airbnb, alcune amministrazioni locali hanno stipulato accordi individuali e bilaterali per superare l’impasse che ha sin qui segnato l’applicazione della norma a causa di alcune difficoltà interpretative. Bisogna ricordare a tal proposito che il “regime fiscale delle locazioni brevi” è stato introdotto nell’ordinamento con la manovra correttiva del 24 aprile 2017 (dl 50/2017) ed è diventata disposizione dello Stato con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione (legge 96/2017, pubblicazione il 21 giugno scorso). Esso stabilisce che per contratti di locazione inferiori ai 30 giorni, i soggetti che esercitino attività di intermediazione immobiliare (tra cui anche i gestori di portali telematici) avranno in carico una serie di adempimenti fiscali. In primo luogo, dovranno agire come sostituti di imposta e trattenere il 21% dei redditi percepiti dai proprietari degli alloggi nella forma della cedolare secca. Inoltre, in capo agli stessi intermediari, ricade la responsabilità del pagamento dell’imposta di soggiorno, un tributo che va a carico dei turisti che occupano gli alloggi e che, dopo l’approvazione della norma, dovrà essere raccolto, appunto, dagli intermediari. Gli obblighi, però, non ricadranno su tutti, ma solamente su quelli che «intervengono nel pagamento dei canoni o dei corrispettivi», ovvero quelli attraverso i quali transitano gli importi pagati dai clienti e destinati ai padroni degli alloggi. La stessa disposizione rimanda a un provvedimento dell’Agenzia delle entrate che disporrà le modalità di attuazione della norma.
Pubblicato il 12 luglio 2017, il provvedimento avrebbe dovuto segnare l’entrata in vigore della nuova imposta, che però non fu immediata per effetto dello Statuto del contribuente che, al comma 2 dell’art. 3 stabilisce che «le disposizioni tributarie non possano prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione». Quindi, la definitiva entrata in vigore avvenne il 12 settembre 2017. Nonostante ciò, la disposizione non riuscì a produrre i suoi effetti: sulla cedolare secca a causa di difficoltà applicative, mentre per la tassa di soggiorno sarebbero dovuti intercorrere accordi con le singole amministrazioni comunali, gli organi preposti al godimento della tassa.
In questo contesto si collocano le varie intese raggiunte da Airbnb e le amministrazioni comunali di Firenze, Genova, Bologna, Rimini, Palermo, Milano e Napoli, siglate nel corso dell’ultimo anno. La base delle convenzioni è sempre la stessa: il portale online raccoglierà l’imposta al momento del pagamento alla struttura da parte del cliente (con un’apposita casella dedicata presente sul sito) e riverserà gli importi nelle casse comunali. In questo modo viene sfruttata la tecnologia digitale dei portali per raccogliere in maniera semplificata i vari importi e si riducono le possibilità di evasione, in quanto il passaggio su Internet rende tutto completamente tracciabile. Prima delle intese, infatti, erano gli stessi proprietari ad autodichiarare quanti clienti fossero transitati per il loro appartamento e, quindi, quanto fosse l’importo della tassa di soggiorno a loro carico.
La prima amministrazione comunale a siglare l’accordo è stata quella di Genova, nel giugno del 2017, ancor prima della definitiva entrata in vigore della disposizione: nel capoluogo ligure l’importo ammonta a 1 euro a persona per i primi otto giorni di pernottamento. Il secondo accordo fu siglato con la città di Bologna: in questo caso non vi è un importo fisso, ma una tariffa che equivale al 5% del costo dell’alloggio, per un importo massimo di 5 euro a persona per notte. L’intesa con il Comune di Firenze, siglata nel novembre 2017, è in vigore dal primo gennaio 2018: tre euro a persona per un massimo di sette notti. Atteso un gettito di 6,5 milioni di euro all’anno. A Milano si è partiti il primo marzo: per il capoluogo lombardo si parla di cifre molto importanti, perchè sono circa 16 mila gli alloggi e, solo l’anno scorso, 600 mila persone sono transitate per gli appartamenti, con un importo medio di tre euro per notte.
Dal primo aprile prossimo, invece, produrrà i suoi effetti l’accordo con il Comune di Palermo: circa 3 mila alloggi nel capoluogo siciliano dovrebbero portare nelle casse comunali poco meno di un milione di euro. E sempre dal primo aprile l’imposta sarà raccolta nel comune di Rimini: 3% del canone corrisposto con il limite massimo di 5 euro a persona per notte. L’ultimo arrivato in ordine di tempo è il Comune di Napoli: dal primo maggio i due euro a persona per notte verranno raccolti da Airbnb e versati nelle casse comunali ogni mese. Circa un milione e mezzo di euro i proventi attesi.