Siamo alla prese con una bomba ecologica, un nuovo ecosistema formato dalla plastica accumulatasi nei decenni nell’ambiente marino e terrestre che non sappiamo ancora come gestire.
Negli ultimi anni, nonostante sia cresciuta la consapevolezza e la conoscenza sul fenomeno della plastica dispersa nei corsi d’acqua, nei laghi e in mari e oceani, si stima che la produzione di questo pericoloso rifiuto aumenterà, in modo esponenziale nei prossimi anni.
Ci avviamo purtroppo verso un futuro catastrofico, nel 2050 in peso della plastica nei mari sarà maggiore di quello del pesce che lo abiterà. Bisogna correre immediatamente ai ripari.
Uno studio che ha analizzato il problema a livello globale ha indicato che l’azione prioritaria è a carico dei quei cinque paesi asiatici in cui la plastica finisce in mare a causa di sistemi di gestione dei rifiuti assenti o inefficienti. A nazioni come Cina, Indonesia, Filippine, Vietnam e Tailandia viene infatti imputata l’immissione di una percentuale tra il 55 e 60% della plastica dispersa in mare a livello globale.
Purtroppo i rifiuti plastici di varia natura finiscono, spesso attraverso scarichi e corsi d’acqua, in tutti i mari e gli oceani del mondo, anche se in quantità minori. Anche l’industria ittica contribuisce ad aggravare il problema con la dispersine costante di reti da pesca abbandonate e cassette in polistirolo.
La soluzione del problema è complessa perché si tratta di intervenire a livello globale con misure e legislazioni preventive mirate alle diverse tipologie di rifiuti marini, sia provenienti dalla terraferma, che scaricati da navi e piattaforme petrolifere.
Ed è proprio la plastica finita in mare a rappresentare il rischio maggiore perché considerata irrecuperabile. Si tratta principalmente di microplastiche, frammenti e particelle polimeriche comprese tra i 5 mm e 330 mm. La misura di 5 mm è un limite convenzionale che le distingue dalle mesoplastiche di varia natura che derivano dalla frammentazione di oggetti più grandi.
Si parla da anni delle isole di plastica formate dai vortici oceanici e del disastro ecologico che affligge le piccole isole disabitate del Pacifico, quanto il nostro Mediterraneo non è da meno. I quantitativi medi di microplastiche presenti nel Mare Adriatico e nel Mediterraneo Occidentale sono infatti di circa 500 ed 800 g per km2, che sono valori paragonabili a quelli rinvenuti nei famosi 5 vortici oceanici di accumulo delle plastiche. Quantitativi ancora maggiori, circa 2 kg per km2, sono stati identificati a largo delle coste occidentali della Sardegna, della Sicilia e lungo la costa pugliese, fino ad arrivare ad un hot spot di addirittura 10 kg di microplastiche per km2 nel tratto di mare compreso tra la Corsica e la Toscana.