Il Gruppo dei 7 (G 7) – G 8 quando c’era la Russia successivamente bandita dal club per la questione dell’ Ucraina – è nato (in realtà come G5 a un’epoca in cui non c’erano ancora Italia e Canada) dopo i primi due shock petroliferi, per concordare una risposta dei paesi industrializzati a un problema comune. I 7 sono Usa, Regno Unito, Canada, Giappone, Francia, Germania e Italia.Un periodo storico, la metà degli anni ’70, caratterizzato da un contesto ben diverso da quello odierno e segnato da opinioni pubbliche anch’esse favorevoli a una governance globale. Altri elementi di scenario erano: un’Unione Europea – più piccola ma più coesa – fondata sul binomio Giscard-Schmidt; un presidente americano debole (Carter); paesi emergenti con peso ridotto (limitato ai Paesi Opec) nell’economia globale; gli albori della teocrazia khomeinista in Iran. Ragion per cui oggi, non solo a causa di Donald Trump e le sue posizioni estreme (su Nato, commercio estero, clima ecc.) – in un mondo in piena trasformazione (caratterizzato da nuovi Paesi ed economie emergenti, sovranismo, identificazione delle istituzioni sovranazionali con gli interessi delle élite e dell’establishment) – già da tempo c’è chi si chiede se il “caminetto” più antico dell’Occidente (il suo format) sia ancora utile (né mancano, tuttora, i suoi tradizionali antagonisti, vedi la manifestazione – nei giardini Naxos – di chi dice “No al G7”, alle sue politiche per la migrazione, cui si preferirebbero dei corridoi umani; a Frontex, “un’agenzia che pensa a respingere piuttosto che a integrare” ecc.).
Resta vero che gli elettori di Trump, e della May, vogliono leader che vadano ai vertici a fare il muso duro, piuttosto che a concordare decisioni comuni. Resta vero anche che il G 7 è (comunque) un luogo d’incontro e di dialogo tra i grandi del mondo libero. E che il dialogo è comunque utile, almeno per chiarire le posizioni dei singoli leader, se non sempre per giungere a posizioni comuni da difendere in Fori più larghi (quali ad esempio il G 20). Ma il cambiamento del mondo ha mutato la natura di queste riunioni dei grandi del pianeta. E l’attuale presenza di un Donald Trump (che tra l’altro preferisce contatti bilaterali al multilateralismo) la muta ancora ulteriormente. L’assenza della Cina e l’assenza della Russia rendono tutto più difficile. Oggi più che mai, servirebbe un vero Punto di coordinamento a livello globale, soprattutto in una fase in cui la debolezza dell’Onu è parallela a quella di tutte le strutture che tendono a rappresentare la guida del mondo. Si andrà alla ricerca di nuovi format: G2, G3, G4 ? Intanto, guardando i risultati di Taormina, alcuni osservatori hanno sottolinea un risultato “sei contro uno”: rappresentazione, da altri osservatori, considerata un miraggio, visto che su molte cose Theresa May cerca un asse preferenziale con Washington, per non parlare di Shinzo Abe che ha altri problemi (Cina, Corea del Nord), e di un’Unione europea che (dal terrorismo alle migrazioni, dall’austerity alla crescita economica) è ben lontana dall’essere compatta, decisionista, solidale e funzionante.
Alla vigilia, Paolo Gentiloni, Presidente di turno dei Sette, sottolineava: «Chiediamo risultati. Sappiamo che non sarà un confronto semplice, ma lo spirito di Taormina ci può aiutare nella direzione giusta». Trump avendo poi tradito questo spirito, al suo termine. Per il Presidente Gentiloni, il vertice siciliano è indubbiamente un successo mediatico, culturale, in termini di organizzazione e di sicurezza. Ma è anche un summit per il quale si possono ammettere dei fallimenti, sul clima, dei compromessi, sul commercio mondiale, ed enfatizzare passi significativi in avanti, come quello sul terrorismo internazionale. “Non cambieremo di un millimetro posizione sul clima”: ha anche ribadito. Dopo il summit del G7 a Taormina, Angela Merkel ha dichiarato “Noi europei dobbiamo prendere il nostro destino nelle nostre mani”. Parlando a un comizio in Baviera, ha sollecitato i Paesi dell’Unione europea a unirsi di fronte alle nuove ed emergenti politiche di divergenza con gli Usa, di fronte alla Brexit e su altre sfide. E ha sottolineato che il vertice ha dato la sveglia. Partendo da Taormina (come Trump, evitando una conferenza stampa finale) la Merkel si è dichiarata “molto insoddisfatta” in riferimento, in particolare, al mancato accordo sul cambiamento climatico. Emmanuel Macron, invece, esorta all’ottimismo perché “Trump può ancora essere convinto a rispettare gli Accordi di Parigi”. Ma, anche se un domani l’America non dovesse ufficialmente ritirarsi dagli Accordi di Parigi, nei fatti, questo è già accaduto perché tutte le scelte energetiche e ambientali che Trump ha finora compiuto dal suo arrivo alla Casa Bianca sono un rilancio delle energie fossili e un via libera all’inquinamento.