Le attuali condizioni di rischio idrogeologico in Italia sono legate sia alle caratteristiche morfologiche e idrografiche del suolo, sia al forte incremento (a partire dagli anni ‘50) delle aree urbanizzate, industriali e delle infrastrutture lineari di comunicazione che troppo spesso sono state realizzate senza una corretta pianificazione e con percentuali di abusivismo che hanno raggiunto anche il 60% nelle regioni del Sud. Per ottenere un quadro complessivo e aggiornato sulla pericolosità del territorio nazionale, l’Ispra nel 2015 ha redatto un’analisi dettagliata sulle zone a pericolosità di frana, nonché delle aree a pericolosità idraulica, perimetrale dalle Autorità di Bacino, Regioni e Province Autonome sui relativi territori di competenza.
Il nostro è uno dei Paesi europei maggiormente interessati dai fenomeni franosi, con 528.903 sfaldamenti che comprendono un’area di 22.176 chilometri quadrati, pari al 7,3% del territorio nazionale. Questi dati derivano dall’Inventario dei fenomeni franosi in Italia (Progetto Iffi), realizzato dall’Ispra e dalle Regioni e Province Autonome secondo modalità standardizzate e condivise. Circa un terzo del totale delle frane in Italia sono fenomeni a cinematismo rapido (crolli, colate rapide di fango e detriti), caratterizzati da velocità elevate fino ad alcuni metri al secondo, come pure da un’elevata distruttività spesso con conseguenze importanti in termini di vite umane, come accaduto in Versilia (1996) a Sarno e Quindici (1998); in Piemonte e in Valle d’Aosta (2000), in Val Canale (2003), a Messina (2009) e in Val di Vara (2011). Nel Report sono stati analizzati gli eventi alluvionali più significativi degli ultimi 5 anni, che evidenziano come molto spesso le situazioni alluvionali colpiscano, determinando conseguenze importanti, i comuni che non hanno previsto azioni rivolte al miglioramento della riqualificazione fluviale o alla manutenzione del reticolo idrografico minore.
Nei Comuni capoluogo di provincia, le aree a pericolosità idraulica elevata sono pari al 7,4% della superficie complessiva, le aree a pericolosità media (tempo di ritorno tra i 100 e i 200 anni) sono pari al 16,2% del territorio e in esse vivono quasi 2 milioni di abitanti. Il Rapporto Ispra mette inoltre l’accento sulla qualità dell’aria nei capoluoghi di provincia. Al 13 dicembre 2016, almeno 18 di essi hanno superato il limite giornaliero per il Pm10, mentre lo scorso anno, 45 città su 95 non hanno rispettato il valore limite giornaliero delle polveri di particolato, con un numero complessivo di sforamenti generalmente superiori a quelli degli anni precedenti. Le situazioni più critiche per il mancato rispetto dei valori limite di Pm2.5, biossido di azoto (NO2) si sono registrate a Torino, Vercelli e in alcune aree del capoluogo lombardo. Nel 2015 il 90% della popolazione che vive nei Comuni presi in esame è risultato esposto a livelli medi annuali superiori al valore guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità riguardo al Pm10, con conseguenti rischi legati alla salute.