La sacrosanta lotta all’evasione è alimentata ormai dalla cultura del sospetto ai danni dei cittadini, recepita e “sacralizzata” a livello istituzionale, alla faccia dell’era del trionfo e del rispetto della privacy. Non a caso, dal 31 marzo scorso, ossia dalla creazione dell’Anagrafe dei conti correnti (bancari o postali), il fisco viene a conoscenza di ogni versamento, prelievo, bonifico e operazione fatta con il Bancomat o con la carta di credito, ogni movimento di titoli, prodotti finanziari o assicurativi. Ciò significa che muovere i propri depositi di credito o di debito è, potenzialmente, un’operazione a rischio.
Il decreto Salva Italia del 2011 ha consentito l’ingresso nei database del fisco dei dati di sintesi dei conti correnti (saldo a inizio e fine anno, totale degli accrediti e degli addebiti effettuati e la giacenza media annua). Ma ci sono anche altre informazioni relative a rapporti finanziari come, ad esempio, carte di credito, di debito o prepagate, cassette di sicurezza, che in realtà non possono essere usate per controlli a tappeto, ma per quella che viene chiamata ‘analisi di rischio’. Attraverso una serie di algoritmi, vengono individuate le posizioni più sospette di evasione e su quelle si concentrano le indagini e i successivi accertamenti fiscali.
Con queste misure draconiane l’Agenzia delle Entrate cerca di capire se ci sono dei movimenti ‘in nero’ sui conti correnti, cioè entrate o uscite di denaro non dichiarate al fisco. La legge di Stabilità fissa in 3mila euro il tetto del prelievo in contanti (in realtà una cifra veramente minima dati gli attuali prezzi delle merci e dei servizi) presso lo sportello bancario senza dover dare spiegazioni. Il titolare di un conto corrente potrebbe prelevarne di più: il rischio però è che l’impiegato della banca faccia una segnalazione per verificare un eventuale riciclaggio.
Nel caso ci fossero dei sospetti concreti su un caso simile, l’avviso finirebbe sul tavolo del procuratore della Repubblica, ma se il correntista ha la coscienza tranquilla non ha nulla da temere. Se è vero che il titolare di un conto corrente può prelevare più di 3mila euro in un colpo solo, su richiesta della banca deve darne giustificazione. I movimenti superiori ai 12.500 euro (soglia oltre la quale scatta l’obbligo del bonifico bancario) possono, tuttavia, essere realizzati solo attraverso un intermediario finanziario.
Nessuna soglia per i prelievi, dunque, e sogni tranquilli per chi non sia un lestofante. Ma il fisco può intervenire lo stesso di fronte a un prelievo consistente, magari ripetuto più volte nell’arco di un tempo relativamente breve. All’Agenzia delle Entrate potrebbe venire il sospetto che quel denaro sia utilizzato per acquisire profitti in nero. Come difendersi, allora, dallo sguardo occhiuto e sospettoso del Grande Fratello fiscale? Gli esperti del settore consigliano di adottare alcune cautele e determinati comportamenti. Vediamone qualcuno.
Per prima cosa, evitare che i soldi da prelevare siano d’importo complessivo superiore a quelli dichiarati. Se la differenza eccede del 20% non c’è scampo: l’Agenzia busserà alla porta del correntista. In ogni caso, conviene evitare di fare prelievi troppo elevati dal conto e spendere quei soldi in un bene che non si riesca a mantenere.
In secondo luogo, conservare sempre la documentazione riguardante i soldi ritirati dal conto, soprattutto quando si gestisca un’attività commerciale o imprenditoriale, nei confronti delle quali c’è sempre una presunzione di evasione.
La terza prassi consigliabile per evitare guai consiste nell’effettuare i pagamenti più importanti tramite bonifico, assegno o carta di credito, anziché in contanti, rendendoli così tracciabili. Non serve, invece, spezzettare il prelievo complessivo in prelievi reiterati nel tempo di piccole dimensioni. Vale sempre il principio del reddito dichiarato rispetto al prelevato. Se il denaro invece serve per un prestito o una donazione, è preferibile fare una scrittura privata con data certa che possa giustificare il movimento di soldi. Esistono diversi metodi per fornire tale certificazione a un documento, ma il più utilizzato è la spedizione dello stesso, con plico piegato su se stesso (quindi senza busta), ove venga apposto il timbro postale che, essendo certificato da un pubblico ufficiale, farà piena prova della data. Questo documento, sigillato e munito del timbro postale di data certa, andrà conservato per almeno cinque anni.
Quali sono i rischi per chi sia sorpreso a prelevare contante oltre la soglia consentita? Per le violazioni è prevista una specifica sanzione amministrativa dall’1% al 40% dell’importo trasferito. La sanzione non è mai inferiore a 3mila euro, mentre le violazioni che superano i 50mila euro saranno punite con una sanzione pari a cinque volte il minimo. Rischia anche l’operatore di banca che venga a conoscenza della violazione, ma taccia: può ricevere una sanzione pecuniaria dal 3 al 30% dell’importo dell’operazione, partendo sempre da un minimo di 3mila euro.
Per il fisco, dunque, non vale più il segreto bancario. La lotta all’evasione autorizza l’Agenzia delle Entrate a conoscere ogni dettaglio dei conti correnti, ma anche di qualsiasi tipo d’investimento, compresa la compravendita d’oro. Pertanto la privacy di un correntista non è più esclusiva della banca o delle Poste, dove sono depositati i risparmi. Banca e Poste sono tenute a dare al fisco qualsiasi tipo d’informazione venga richiesta. C’è di che protestare a difesa di una riservatezza ormai violata ampiamente dall’Esecutivo attraverso le sue articolazioni operative. Il Garante ha lanciato l’allarme ma, per ora, non ci sono risposte.