Roma guadagna posizioni nella classifica mondiale delle smart city, ma occorre maggiore impegno per scalare la vetta. Il Networked Society Index 2016, lo studio realizzato da Ericsson che prende in esame le prestazioni di 41 città su scala mondiale, assegna alla Capitale il 19esimo posto della graduatoria. Un risultato non certo entusiasmante, visto che tutte le grandi città europee, a eccezione di Mosca e Atene, la precedono. La buona notizia è che però la situazione sta migliorando: l’anno scorso la Città Eterna era al 21esimo gradino. Il primo posto in assoluto spetta a Stoccolma, seguita da Londra, Singapore, Parigi, Copenhagen, Helsinki, New York, Oslo, Tokyo, Seoul. C’è da chiedersi in base a quali criteri sia stata costruita la graduatoria. Vale in primis la definizione standard: una città è smart quando le infrastrutture sono evolute e i cittadini possono accedere facilmente a informazioni in grado di migliorare la propria qualità della vita. Esistono tuttavia diverse prospettive per misurare quello che potremmo definire il “quoziente intellettivo” di una città. Quella adottata da Ericsson punta sullo sviluppo urbano sostenibile, che si basa sulla “triple bottom line” (Tbl) – che prende in considerazione gli investimenti per lo sviluppo economico, sociale e ambientale – e sulla maturità delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict), che include l’infrastruttura, l’accessibilità e l’utilizzo. Roma, ad esempio, fa registrare una buona performance nell’ambito dello sviluppo urbano sostenibile, mentre nel settore della maturità Ict è ancora parecchio indietro. A pesare su questo dato, rileva Ericsson, è soprattutto l’arretratezza dell’infrastruttura per la banda ultra larga e gli scarsi hotspot wi-fi. Quest’ultima è infatti una condizione fondamentale per poter competere con le altre città europee. Senza contare la bassa penetrazione di smartphone e lo scarso uso di Internet. In compenso almeno le tariffe per la banda fissa e quella mobile sono convenienti in relazione agli stipendi medi. Dal punto di vista della performance economica, se il lavoro specializzato è il fiore all’occhiello della Città Eterna, il livello di educazione nel settore terziario risulta essere sotto la media. Da un punto di vista sociale, l’aspettativa di vita è buona (i romani vivono 7 anni più della media), ma la disoccupazione resta alta. La Capitale non brilla neppure per l’impatto ambientale: produce un’alta quantità di diossido di azoto e la raccolta differenziata non funziona a dovere. Insomma, un quadro abbastanza complicato. Soprattutto se si considera che a livello nazionale la situazione non migliora, anzi. Secondo un altro studio, lo Smart City Index 2016 di Ernest & Young, la Capitale si piazza solo al nono posto di una classifica dominata da Bologna, Milano e Torino. Si piazzano meglio anche Parma, Trento, Brescia e Reggio Emilia. La ricetta per diventare più smart la spiega Erik Kruse, capo di Ericsson Networked Society Lab: «UN-Habitat stima che il 70% della popolazione mondiale vivrà nelle aree urbane entro il 2050. Fino ad oggi molte iniziative delle smart city hanno utilizzato l’Ict principalmente per ottimizzare gli esistenti sistemi e comportamenti, come per esempio il trasporto intelligente. Le città hanno invece bisogno di ripensare le strutture esistenti affinché la dimensione “smart” sia in realtà sostenibile. La città del futuro è caratterizzata da resilienza, collaborazione, partecipazione e mobilità, caratteristiche essenziali per garantire che le nostre città siano luoghi attraenti, sostenibili e vibranti». Una sfida che Roma deve saper cogliere fino in fondo.