Essere ribelli permette, molte volte, di trovare una nuova strada da percorrere. Per farlo, bisogna essere assolutamente convinti delle proprie idee e salvaguardare la propria identità. Bisogna non conformarsi alla massa e saper uscire fuori dagli schemi. Bisogna essere anche un precursore della propria epoca. Tutte queste doti hanno permesso a David Bowie, di cui da poco è passato il primo anniversario della morte, di diventare il rebel rebel degli anni 70. Rebel Rebel fu la canzone che divenne in breve tempo un inno del movimento glam. Un nuovo movimento che iniziò a porre le sue basi proprio agli inizi degli anni ‘70.
I protagonisti di questo nuovo movimento, sperimentando performance sempre più appariscenti, cercavano di diventare l’antidoto alla eccessiva serietà dell’epoca. Con il glam rock, l’esagerata teatralità diventerà la medicina dell’epoca e l’artista David Bowie ne rappresenterà il suo profeta.
Infatti il Duca bianco riuscì ad affermare, meglio di chiunque altro, le possibilità visuali e teatrali del rock, che alla fine degli anni ‘60 Andy Warhol e Lou Reed avevano solo intuito.
L’amore di Bowie per la recitazione e la teatralità lo portarono ad un’immersione totale nel suo androgino alter ego musicale. A posteriori il musicista affermò: “Sul palco ero un robot mentre fuori dal palco invece provavo emozioni. È probabilmente per questo che preferivo vestirmi come Ziggy piuttosto che essere David”.
Così, l’album del 1972, “The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars” diventa uno dei pochissimi esempi musicali di un LP dietro cui si nasconde un’idea grandiosa e assurda. Il Duca era riuscito ad inventare un’intera mitologia per dare vita alle 11 tracce dell’album.
Ziggy Stardust rappresentava un alieno precipitato sulla terra per aprire gli occhi a un’umanità decadente. Bowie disse: “Era una creatura nata per essere idolatrata dai fan; la utilizzai servendomi dei semplici canoni del rock’n’roll”. Un prodotto di marketing, insomma, ma studiato fin nei minimi dettagli. Come un’opera d’arte.
Romantico e voluttuoso, ambiguo e sfrontato, “extraterrestre” e quindi, libero dai tabù sessuali che incatenano l’umanità, Ziggy è la quintessenza dello spirito glam. La grandissima ambiguità sessuale di Ziggy, permise a Bowie di giocare con impareggiabile maestria un nuovo gioco sessuale.
Dichiarò di essere gay e l’intervista creò un certo clamore anche perché in pochi pensarono a una tattica sensazionalistica per preparare il debutto di Ziggy Stardust. Del resto gli argomenti considerati tabù, da sempre, esercitavano una forte attrazione su Bowie e il suo anticonformismo.
Solo nel 1993, sulla rivista Rolling Stone, smentirà definitivamente la voce riguardante la sua bisessualità: “non mi sono mai sentito un vero bisessuale ma ero magnetizzato dalla scena gay underground. Era come un’altra realtà di cui volevo acquistare una quota. Questa fase durò solo fino al 1974 e morì più o meno con Ziggy. Davvero, avevo solo fatto mia la condizione di bisessuale, l’ironia è che non ero gay”.
Tra le sue partnership di questo periodo, nel senso più esteso del termine, troviamo Amanda Lear, modella di Salvador Dalì, e un’incredibile schiera di illustri colleghi come Lou Reed e Iggy Pop che senza Bowie non avrebbero sfornato capolavori come «Transformer» e «Lust for life».
E anche se il glam viaggiava forte e regalava perle come «Aladdin Sane» e «Diamond Dogs», per Ziggy si inizia ad intravedere la fine. Lo stesso Bowie racconterà: “Mi ero lentamente trasformato in Ziggy, l’uomo David viveva in balia del personaggio da palco. Per liberarmene, l’ho ucciso in concerto annunciando in pubblico la sua definitiva scomparsa”.