A seguito della pubblicazione della Relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, l’Ufficio valutazione impatto del Senato ha elaborato due focus di approfondimento. In base ai dati dell’ultima indagine sulla sicurezza delle donne (2014), nel corso della propria vita circa 7 milioni di donne di età compresa tra i 16 e i 70 anni (6 milioni 788 mila), quasi una su tre (31,5%), riferiscono di aver subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale, da apprezzamenti insistenti e approcci non graditi, a quelli più gravi che sfociano nella vera e propria aggressione fisica. Negli approfondimenti di studio viene confermata una tendenza che le cronache propongono con sempre maggiore e preoccupante frequenza: gli autori delle violenze sono prevalentemente i partner attuali o ex delle vittime (2 milioni e 800 mila donne). Il 10,6% delle donne dichiara di aver subito una qualche forma di violenza sessuale prima dei 16 anni. Più di una donna su tre, tra le vittime della violenza del partner ha riportato ferite, lividi, contusioni o altre lesioni (37,6%). Circa il 20% è stata ricoverata in ospedale in seguito alle ferite riportate e più di un quinto di coloro che sono state ricoverate ha riportato danni permanenti.
La quota di donne straniere che dichiara di aver subito violenza fisica o sessuale è pressochè identica a quella delle donne italiane (31,3% contro 31,5%). I dati acquisiti dalla Commissione evidenziano, negli ultimi sei anni, una graduale riduzione del fenomeno (con una lieve, incresciosa risalita nel 2012) del numero dei delitti di violenza sessuale denunciati: sono passati da 4.617 episodi del 2011 a 4.046 del 2016. Nei primi nove mesi dello scorso anno è stato registrato un lievissimo, ulteriore calo (-0,2%) del totale del numero di reati di violenza sessuale denunciata rispetto allo stesso periodo del 2016.
Per quanto riguarda il reato di atti persecutori, il cosiddetto stalking (introdotto nel Codice penale italiano all’articolo 612 bis nel 2009 e modificato dal decreto legge anti-femminicidio nel 2013) i dati riferiti dal Ministero dell’Interno mostrano una crescita in termini assoluti alla denuncia passando da 9.027 atti persecutori denunciati nel 2011 ai 13.177 del 2016 (un aumento del 45%). Nei primi nove mesi del 2017 vi è stato, invece, un calo del 15,7%: le denunce per stalking sono scese da 10.067 a 8.480. Quanto alla perseguibilità del reato di stalking, a partire dalla sua introduzione è stato rilevato un significativo aumento delle condanne: 35 sentenze nel 2009; 1.601 nel 2016. Tornando al femminicidio, i dati statistici mostrano lievi riduzioni, alternate purtroppo ad aumenti degli omicidi con vittime di sesso femminile: negli ultimi 4 anni questi hanno rappresentato oltre un quarto dei delitti commessi.
L’articolo 572 del codice penale punisce con la reclusione da due a sei anni chiunque maltratta una persona della famiglia, o il convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte. Il decreto – legge anti-femminicidio ha introdotto l’aggravante della “violenza assistita” per maltrattamenti commessi davanti ai figli, cioè “in presenza o in danno di un minore di anni diciotto”, oppure “in danno di persona in stato di gravidanza”. I reati denunciati, secondo le rielaborazioni dell’Arma dei carabinieri, interessano soprattutto vittime donne, con percentuali costanti dell’80% circa.
Per quanto riguarda la perseguibilità, sono in aumento le sentenze: da 1.320 nel 2000 sono passate a 2.923 nel 2016. L’andamento è determinato sostanzialmente da condannati uomini nati in Italia. La normativa in Italia contro la violenza di genere, secondo la Commissione d’inchiesta, è nel complesso adeguata: i numerosi interventi effettuati hanno progressivamente colmato i vuoti di tutela e/o le inadeguatezze degli assetti normativi. La relazione finale ha comunque segnalato nuovi possibili interventi. Le violenze sessuali meriterebbero assolutamente una rivisitazione sotto il profilo penale. La tenuità delle pene e la brevità del termine di prescrizione (è quasi inevitabile qualora si arrivi a processo, che il reato venga dichiarato estinto) rendono questa configurazione giuridica fortemente carente sul piano dissuasivo.
La medesima cosa può valere per i maltrattamenti in famiglia (puniti con una pena da due a sei anni) e gli atti persecutori (da sei mesi a cinque anni). A tale proposito un inasprimento delle sanzioni consentirebbe un’azione di contrasto più efficace sul piano processuale e culturale. Per quanto riguarda la violenza assistita da minori, invece, andrebbe trasformata da semplice circostanza aggravante a reato a sè stante. Per l’omicidio di identità (lesioni personali gravissime con deformazione o sfregio permanente del volto) occorre una disciplina più severa. Le sanzioni attualmente previste vanno da sei a dodici anni; considerando la riduzione di pena in caso di rito abbreviato e gli ulteriori sconti in applicazione dei benefici dell’ordinamento penitenziario, vi è però il rischio di dare risposte di scarso rilievo a reati così terribili, dagli effetti devastanti sulla vita delle vittime. Per il reato di femminicidio le sanzioni in vigore, basate sulla fattispecie di omicidio (art. 575 c.p.) e su una pluralità di circostanze aggravanti (maltrattamento, violenza sessuale, atti persecutori o comunque in danno di figure parentali) consentono di arrivare a giuste sentenze di condanna, fino all’ergastolo.