Alzi la mano chi alla parola voodoo non associa una bambolina infilzata da spilli o il macabro e sanguinolento sacrificio di un gallo. E probabilmente giudicheremmo un po’ stravagante un turista che questa settimana salpi alla volta di Ouidah per il tradizionale festival del voodoo.
In questa città, infatti, nella repubblica del Benin, in Africa occidentale, si celebra il 10 gennaio di ogni anno il consueto festival del voodoo, dedicato ai seguaci di questa religione misteriosa e secolare, associata – a torto o a ragione – a una presunta valenza negativa della “magia nera” e praticata soprattutto in queste zone, dove dal 1996 è considerata “religione ufficiale”.
Il festival si svolge ogni anno in questo centro e celebra questa religione – praticata dal 17 per cento dei beninesi e considerata ufficiale dal 1996 – attirando migliaia di devoti dall’intero continente e anche da altre parti del mondo, come Caraibi.
In massa arrivano a Ouidah per essere benedetti dal capo voodoo, detto il Roi (carica oggi ricoperta da Daagbo Hounon Mètogbokandji II, 11esimo reggente al trono). Il Voodoo nell’immaginario collettivo è di solito viene associato a riti di stregoneria, forme di magia nera, in realtà è una vera e propria religione sincretica al cui interno convivono riti e simboli del cattolicesimo. I Beninesi la considerano “una confessione che incoraggia il dialogo tra persone, tra la vita e la morte, tra le religioni”.
Durante le cerimonie, accompagnate da feste, musica, sacrifici di animali e rituali per onorare divinità e antenati, i molti turisti presenti condividono con i locali bicchieri di gin e spesso li si vede spostarsi freneticamente da una parte all’altra per scattare foto, attività che naturalmente viene permessa dietro un’offerta economica variabile. D’altronde c’è sempre un prezzo da pagare per liberare il proprio spirito.
Per alcuni di loro però non è solo l’attrazione turistica di cui vantarsi con gli amici una volta tornati alla propria routine o l’interessante bizzarria da postare sui social, ma “una sorta di Cammino di Santiago, un percorso per ritrovare se stessi e dare equilibrio al proprio spirito”, come confidano alcuni partecipanti a queste celebrazioni.
Ma cos’è il Voodoo? Nell’immaginario collettivo di solito viene associato a riti di stregoneria, forme di magia nera dove c’è la classica bambolina da punzecchiare con gli spilli e alla quale bisogna attaccare ciocche di capelli o peli della persona interessata affinché il rito sortisca i suoi effetti. Niente di tutto ciò.
Se dovesse balenarvi l’idea di vivervi quest’esperienza, una delle cose che vi colpirà sarà vedere il tempio voodoo (il Tempio dei Pitoni) di fronte la chiesa di Ouidah.
Non è strano quindi che per la popolazione locale il Voodoo sia molto più che un semplice festival o una festa nazionale. È uno stile di vita che si manifesta nelle azioni e negli eventi quotidiani. Da un punto di vista estetico e commerciale, il festival è un mix di colori e di linguaggi, un dialogo tra il passato e il presente.
Da una parte infatti ci sono gli abiti tradizionali, dall’altra accessori made in China ad adornare teste, mani, braccia, colli, caviglie, e gin britannico usato durante i sacrifici; da un punto di vista artistico si percepisce il forte senso di tornare a vecchie forme di rappresentazione creativa, con i rituali studiati e confezionati appositamente per coinvolgere il pubblico e ideati per occupare gli spazi che ospitano l’evento.
Si tratta ormai di un festival, di una religione che ha ormai ha attraversato i confini nazionali. La presenza di più nazionalità conferma la sensazione di trovarsi all’interno di un villaggio globale in cui le performance hanno un ruolo di primo piano e rappresentano il punto di incontro tra le diverse culture e identità.
Come ha detto Hounon Rodrigue, figlio del roi, “se il voodoo avesse il suo Vaticano, sarebbe sicuramente qui a Ouidah, al palazzo reale Houwné, e mio padre sarebbe il papa”.