Il 7 giugno del 1494, neppure due anni dopo la scoperta dell’America, Spagna e Portogallo firmano il Trattato di Tordesillas. Si tratta di una divisione del mondo extraeuropeo in sfere di influenza individuate da due meridiani – chiamati rayas -, il primo dei quali venne fissato a 370 leghe a ovest delle isole di Capo Verde (circa 1.700 km, corrispondente a 46°37’ O) mentre per il secondo si ingenerò una disputa – durata sino al 1530 – per chi dovesse mantenere all’interno della propria sfera le isole Molucche, in Asia, sito importantissimo per il monopolio delle spezie. Una delle curiosità contenute nel Trattato nasce dal fatto che non si aveva per nulla contezza di ciò che realmente Colombo avesse scoperto, tant’è che nel documento le terre a ovest del meridiano a 370 leghe da Capo Verde, quasi tutte immaginarie, vengono chiamate ancora Cipango (il Giappone degli europei dell’epoca) e Antille. Di più, non si aveva per nulla contezza della presenza di un gigantesco continente che andava dall’estremo nord del globo sin quasi all’Antartide.
Solo nel 1499 Amerigo Vespucci esplorerà per primo le coste del Brasile dalla foce del Rio delle Amazzoni sino a Cabo Sao Roque, l’estremità più orientale del Sudamerica, cominciando a rendersi conto che si era alla presenza di qualcosa di veramente grosso e due anni più tardi, una spedizione portoghese spintasi sino in Patagonia con a bordo lo stesso Vespucci certificò finalmente la scoperta di un nuovo mondo. Incominciò da quel momento la corsa febbrile di avventurieri, conquistadores e pirataglie d’ogni risma – ciascuno a suo modo autorizzato dal proprio sovrano – per accaparrarsi le baie e le lande più appetibili. Ovviamente Spagna e Portogallo avevano la precedenza su tutti in virtù del vantaggio acquisito nella navigazione a quelle latitudini e soprattutto grazie al Trattato di Tordesillas sancito dal Papa e che dunque, almeno in teoria, doveva tenere francesi, inglesi e olandesi alla larga dalle nuove terre. I primi anni del ‘500 servirono dunque a spagnoli e portoghesi ad approfondire la conoscenza di coste, approdi e retroterra ove possibile e scacciare con la forza le intrusioni delle nazioni nemiche. E mentre la Spagna riuscì abbastanza agevolmente a penetrare nel Messico continentale e nelle terre che prospettavano sull’oceano Pacifico sino all’attuale Perù, il Portogallo si trovò invece fra le mani l’immensa barriera verde della foresta Amazzonica. Pare uno scherzo ma il cuore del continente americano, sia quello settentrionale che quello meridionale, sono stati tabù per molto tempo a causa delle loro difficili condizioni morfologiche e logistiche; un conto era edificare degli scali commerciali sulla costa, un altro penetrare nel cuore di un continente vergine, senza strade o città già costruite da altri.
Basti pensare che il Nordamerica dovette attendere il 1804 per essere esplorato a fondo da una spedizione scientifica organizzata dal neonato governo federale di Washington – la spedizione Lewis & Clark – che lo attraversò da Pittsburgh in Pennsylvania sino all’Oceano Pacifico aprendo la strada alla successiva conquista del West da parte delle carovane dei coloni. Dunque non stupisce che la prima città costruita dai portoghesi sul nuovo continente fu Sao Vicente nel 1530, all’interno della baia di Santos, molto più a sud dell’Amazzonia e all’estremo limite meridionale ove potevano stabilirsi i lusitani come da Trattato di Tordesillas (e stupisce invece l’impressionante precisione nell’arte della navigazione e della posizione di questi omuncoli appena usciti dal medioevo che solcavano oceani sconosciuti su veri e propri gusci di noce). Circa 20 anni dopo una spedizione di gesuiti riesce a risalire la Sierra do Mar – la catena montuosa che corre parallela alla linea di costa per quasi tutto il Brasile – dal punto meno difficoltoso, guarda caso proprio alle spalle della solita baia di Santos. I due religiosi, Manoel de Nobrega e Josè de Anchieta (in onore di quest’ultimo è così chiamata l’arteria che collega San Paolo a Santos sulla costa, la Rodovia Anchieta) proprio all’altezza del meridiano a 46°00’ O fondano un villaggio celebrando messa su una collina tra tre fiumi – il Tieté, l’Ipiranga e il Tamanduateì – il 25 gennaio del 1554, secondo tradizione giorno della conversione di Paolo di Tarso da cui il nome San Paulo de Piratininga (il pesce essiccato che si pescava dai suddetti torrenti). San Paolo sarà tra i primi insediamenti a essere fondato nell’entroterra del continente americano (sicuramente il primo per i portoghesi) – a circa 70 km dalla costa – e per moltissimo tempo costituirà un caposaldo di importanza fondamentale per la geopolitica lusitana – qui si getteranno le basi per la conquista di tutto il territorio brasiliano oltre Tordesillas.
In epoca di corsari e pirati San Paolo è una vera e propria città levantina nonostante non sia bagnata da nessun mare… il suo oceano è quello verde, immenso del plateaux brasiliano e dell’Amazzonia. Diverrà famosa come base di partenza dei “bandeirantes”, sorta di esploratori, avventurieri, schiavisti, grassatori che organizzano spedizioni verso le terre inesplorate dell’interno per cercare oro e diamanti, rapire indigeni da vendere come schiavi, per fare in qualche modo fortuna in quel grandioso e misterioso nulla che si para loro innanzi. Si rivelò comodo il fiume Teité, navigabile verso l’interno proprio dal villaggio sino al portentoso Rio Paranà, secondo solo al Rio delle Amazzoni. Con i dovuti distinguo San Paolo ricorda la coeva Chicago delle colonie francesi in Nordamerica, avamposto della civiltà europea di fronte a un continente immenso e sconosciuto, base di partenza per i cacciatori di pelli che si avventuravano nel grande Nord o per gli intrepidi che partivano a cercare l’oro sulle rive dei creek gelati… Per molto tempo San Paolo rivestirà questo ruolo fra le comunità della colonia, tanto da forgiarsi una personalissima fama di città ribelle e un po’ spavalda. Le ricchezze giunte attraverso traffici lindi quanto il pannolino di un neonato al mattino vengono reinvestite nelle fazendas che oltre a quelli indigeni impiegano anche schiavi africani ma il carattere aperto della città fa sì che nel giro di qualche secolo si formi una delle più grandi comunità meticce di tutto il continente. Dopo la scoperta delle miniere nel Minas Gerais tra ‘600 e ‘700, l’economia langue a vantaggio di Rio de Janeiro, posizionata meglio rispetto ai suddetti giacimenti.
La scoperta stimola nel Paese la costruzione di nuove vie tra la costa e l’interno che marginalizzano San Paolo ma l’introduzione della coltivazione del caffè sugli altopiani alle spalle di Santos verso la fine dei XVIII secolo riporta lavoro e ricchezza anche fra i “paulistanos”. Il XIX secolo per San Paolo sarà quello della consacrazione. Si apre con la proclamazione dell’indipendenza dal Portogallo fatta proprio in città (non un caso) da Pedro I – figlio ribelle del Re lusitano – il 7 settembre del 1822, prosegue con l’istituzione della prima facoltà di legge del neonato Stato (grazie alla presenza dei molti proprietari delle piantagioni di caffè), con la costruzione di un collegamento ferroviario sino allo scalo di Santos che schiuderà le potenzialità del commercio su larga scala, con l’abolizione della schiavitù nel 1888 che farà affluire in città centinaia di migliaia di immigrati europei – primi fra tutti italiani – che disegneranno la San Paolo multietnica del XX secolo, con l’istituzione del Politecnico nel 1897 che orienterà definitivamente in senso industriale e modernista lo sviluppo di quella che oramai, al volgere del secolo, è una delle più grandi realtà urbane non solo del Brasile ma di tutto il continente americano. Se Rio e Bahia incarnano una certa immagine folkloristica e ciò che più corrisponde all’immaginario collettivo del resto del mondo sul Brasile è a San Paolo che il gigante sudamericano, più o meno consapevolmente, ha invece cercato di coltivare un’idea di sé stesso pur con tutte le contraddizioni insite all’interno della propria società. San Paolo incarna lo spirito pionieristico delle nazioni giovani, la voglia di misurarsi con nuove sfide e superarsi di continuo badando più alla sostanza che alla cura dell’immagine (è difficile imbattersi in aree monumentali e celebrative in questa metropoli).
E’ da qui che spesso sono venute fuori le classi dirigenti del Paese o le personalità maggiormente ispirate nelle discipline umanistico-sociali ed è qui che sono nate le forme d’arte più genuinamente brasiliane potendo volgere lo sguardo più verso il cuore del continente che verso l’Atlantico e l’Europa dall’altra parte. Di questo si accorse Claude Levi-Strauss che lavorò in città tra il 1934 e il 1939 per allestire la facoltà di Sociologia e Antropologia. E’ da San Paolo che organizzò alcune delle sue spedizioni più importanti per conoscere le tribù dell’interno ed è a San Paolo che si accorse dell’esistenza di una natura intrinseca della nazione carioca, diversa da quella romantica immaginata nella vecchia Europa. L’energia sprigionata da San Paolo nel XX secolo è testimoniata dalla vertiginosa evoluzione demografica che dai 230.000 abitanti del 1900 la porta al milione nel 1930, ai 2.200.000 nel 1950 e ai 10.500.000 nel 2000.
Oggi l’area metropolitana occupa una superficie di circa 7.000 kmq (più o meno come il Friuli), ci vivono 26 milioni di abitanti e si produce circa 1/3 del PIL brasiliano. Questo caos creativo si traduce in decine di istituzioni culturali di caratura mondiale, in centinaia di grattacieli tra cui continua a spiccare per eleganza e tratto distintivo il sinuoso Copan di Oscar Niemeyer figlio del modernismo anni ’50 e di una certa consapevolezza di sé, in una rete metropolitana di 6 linee istituita nel 1974 – certo poche per una megalopoli di tali dimensioni – , reti autostradali degne di una Los Angeles e ovviamente in una serie di problemi mai risolti del tutto, figli delle disuguaglianze comuni a tutto il Brasile. Non solo le favelas controllate dai cartelli della droga, spesso anche le aree del centro vivono sotto consegna da parte di boss collusi con le forze dell’ordine. Pare il fio da pagare per il dinamismo tumultuoso che ne fa la vera capitale economica di un continente ancora gravato qua e là dalle tare del sottosviluppo. Il Brasile guardava verso Rio e Bahia mentre San Paolo, a metà strada tra l’Oceano e l’Amazzonia, in silenzio ne forgiava l’anima.