“Per ogni individuo, lo sport è una possibile fonte di miglioramento interiore” (De Coubertin), ma “Avrebbe bisogno di progettazione, innovazione e impegno costante” (Pietro Mennea).
Abbandonate le speranze di una Roma olimpica nel 2024, la cronaca lascia in sospeso lo sviluppo di un’impiantistica sportiva troppo pigra e troppo poco agonistica, oltre a lasciare aperti i dissidi e le divisioni politico-sociali della classe dirigente. A bocce ferme, quindi, fotografare gli impianti italiani ci sembra un esercizio utile per comprendere il presente, provare a capire come e da dove cominciare a pensare al domani, magari imparando o riflettendo sulle lezioni del passato.
Il nostro viaggio in giro per i monumenti sportivi italiani comincia dalla Capitale, da dove tutto doveva ricominciare e invece si è interrotto.
La mappa dell’impiantistica sportiva della Città Eterna è riempita da strutture storiche, vere e proprie istituzioni, sedi di eventi che ancora conservano il fascino dell’agone olimpico: teatri periodici di tutte le manifestazioni di una stagione sportiva sono ancora lì, in piedi, ultimi baluardi prima della resa totale. Il problema principale non risiede tanto nell’utilizzo di questi impianti, quanto nella loro capacità ospitale. Accessibili per gli atleti, meno, molto meno, per gli spettatori, comunque non sufficienti a dare la giusta dignità alla storia dello sport in questo paese.
Il primo impianto, nato nel 1911 per celebrare il cinquantenario dell’Unità d’Italia, sarà lo Stadio Nazionale. Per la stessa ricorrenza a Roma verrà realizzato un luogo storico e prestigioso, il Vittoriano, noto ai giorni nostri come Palazzaccio e sede del Palazzo di Giustizia. La concezione dello stadio nacque da un referendum partecipato dalle più competenti e qualificate personalità nel mondo dell’arte e dell’architettura, sebbene fossero state sottoposte idee di riqualificazione di aree incredibilmente già ammirate come quella del Circo Massimo. La zona prescelta ed assegnata dal sindaco di Roma Ernesto Nathan si collocherà in un area circondata da Villa Glori, la collina dei Parioli e Piazza del Popolo. Di fatto lo Stadio Nazionale di Roma, a braccetto con il progetto Stadium che negli stessi anni si sviluppa e nasce a Torino, è il primo vero impianto sportivo dell’era moderna.
Il progetto fu affidato a Marcello Piacentini, architetto ed urbanista romano, incontrastato protagonista del trentennio 1910-1940. Massimo ideologo del monumentalismo del regime, applicò tutte le sue conoscenze e le sue ambizioni nel progetto stadio: di ispirazione ellenica, precisamente stadio Olimpico ateniese, pur sempre dal sapore romano con le colossali statue all’ingresso, che rappresentavano la Forza e la Civiltà. All’interno ancora una serie di colonne raffiguranti i successi sportivi di Terra, Acqua, Aria e Fuoco. La struttura dello stadio a gradinata unica, realizzata da un’affermata ditta di Torino, prevedeva poi, due lunghe gradinate collegate da una curva (realizzazione in cemento con coperture in legno ed eternit), per ospitare il pubblico. Ovviamente al centro il campo di battaglia, il terreno di gioco, circondato però da piste adatte all’atletica e alle corse ciclistiche. All’interno delle tribune poi, vennero ricavati luoghi di ufficio per accogliere sedi come l’Istituto Nazionale di Educazione Fisica, oppure luoghi di ritrovo e servizi come palestre, punti ristoro, servizi pubblici e sale di lettura. Tutto per far sì che lo stadio Nazionale rappresentasse e concentrasse in sé tutti gli eventi sportivi principali a carattere nazionale ed internazionale.
Il primo evento in questo stadio, si terrà il 10 giugno 1911 alla presenza dei Sovrani d’Italia, ma la struttura ben presto necessiterà di quello che sarà il primo intervento di una lunga serie, per riparare lesioni e danneggiamenti patiti dall’usura, oltre che dall’abbandono forzato a causa del primo conflitto Mondiale.
Il secondo intervento sull’impianto innalzerà notevolmente le ambizioni forzatamente deposte durante i primi tre lustri. Nel 1927 infatti ritroverà vita sotto il nome di Stadio del PNF (Partito Nazionale Fascista), su iniziativa di Augusto Turati, segretario nazionale del partito, e delegato per opere e risorse del regime mussoliniano; l’intento era quello di realizzare attraverso il recupero dell’opera la popolarità necessaria, visto l’incessante entusiasmo intorno alle vicende sportive-calcistiche. Tanti gli innesti, esterni ed interni, che ne sancirono il portentoso obiettivo: la copertura delle tribune, l’inserimento di un’enorme piscina (50 x 18) con spalti ad essa riservati, oltre a spogliatoi e trampolini per la specialità. Trovarono casa le direzioni del CONI e di molte federazioni; si crearono alloggi-dormitori per gli atleti dalla curva unica, per una capienza abnorme di seicento posti letto. Fu ristabilito il campo di calcio con misure a norma CIO. Anche in questa seconda vita dello stadio del quartiere Flaminio ci fu la mano e la componente regia di regime dell’architetto Piacentini, supportato da alcuni ingegneri dell’ufficio Comunale (Orazi e Guazzaroni). Nella nuova realizzazione saranno sottratte le elleniche statue dell’ingresso, ma il monumentalismo sarà comunque contrassegnato da opere bronzee dello scultore Amleto Cataldi raffiguranti il Calcio, la Corsa, la Lotta e il Pugilato. E’ il 1929 ma queste opere del Cataldi sono ancora presenti nel giardino del Villaggio Olimpico.
Sarà una gara di calcio ad inaugurare lo “stadio del PNF” il 25 marzo del 1928: scendono in campo la Nazionale Italiana contro l’illustrissima e ammirata nazionale ungherese. Di fronte a spettatori, gli uomini di Baloncieri escono sconfitti per 4-3 sotto i colpi degli assi magiari. E’ un incontro che resta nella storia come la prima trasmessa dalla Stazione di Roma della radio italiana, la EIAR, con la cronaca descritta agli italiani dalla voce di Giuseppe Sabelli Fioretti.
In quel momento gli eventi internazionali hanno maggior risalto e ancora le manifestazioni nazionale appena nate come il calcio trovano ospitalità in altri impianti che conosceremo in questo nostro viaggio: la SS Lazio sul campo della Rondinella, la AS Roma sul campo di Testaccio. Solo nel 1931 il PNF sarà teatro delle partite in campionato della società biancoceleste, mentre per vedere i giallorossi giocare in casa bisognerà attendere il 1940. Tuttavia Lazio e Roma saranno protagoniste in questo stadio il 24 maggio 1931 di un derby accesissimo e particolarmente rissoso.
Il momento più alto resterà quello vissuto in occasione dei trionfali mondiali di calcio del 1934. Per ospitare al meglio l’evento lo stadio sarà munito di un nuovo settore di curva che sopprimerà la zona dedicata al nuoto, arrivando ad ospitare per la finale di Coppa del Mondo disputata contro la Cecoslovacchia oltre 50000 spettatori!
Il primo stadio multifunzionale dell’era moderna nacque dall’esigenza di dare centralità al messaggio agonistico, in principio per raccogliere il testimone di Olimpia e delle sue gare internazionali e poi come propagandistico veicolo politico-sociale. L’entusiasmante e ambizioso ruolo della Città Eterna nello sport pagherà in termini di funzionalità, nonostante, come abbiamo potuto descrivere, ci fossero già requisiti e servizi “futuristici”. In realtà il contesto storico e i primi decenni del Novecento si ripercuoteranno sugli alti e bassi delle prime costruzioni: il fronte bellico, l’avvento del regime fascista e poi la sua caduta lasceranno un segno indelebile, nel bene e nel male, nello sviluppo dell’edilizia sportiva fino al sogno che si materializzerà nel 1960.