Un ipermercato di Napoli ha ricevuto nel 2010 un AVVISO DI LQUIDAZIONE TARSU per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti derivanti da attività commerciali ed ha prodotto ricorso alla CTP lamentando che il Comune non aveva svolto il servizio in quell’area, per cui la società si era vista costretta a stipulare un contratto con terzi per garantire, a proprie spese, l’effettiva raccolta, ed inoltre per il fatto che i rifiuti prodotti dovevano qualificarsi come speciali e, quindi, non assimilabili agli urbani. La CTP accoglieva il ricorso annullando l’avviso. La CTR, su appello del Comune, riformava la sentenza nella considerazione che per effetto dell’art. 62 del decr. legisl. n. 507 del 1993 sono esclusi dal tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti per natura o destinazione, ma la stessa norma prevede che tali circostanze debbono essere indicate nella denuncia ex art. 70 dello stesso decreto, per cui sarebbe irrilevante la rispondenza o meno al vero della circostanza relativa alla produzione di rifiuti speciali da parte dell’ipermercato. La decisione CTR veniva impugnata per Cassazione.
Poiché nel 2012 Equitalia notificava per gli stessi importi e per la stessa annualità CARTELLA DI PAGAMENTO, l’ipermercato ricorreva alla CTP che l’annullava e la CTR accoglieva l’appello del Comune, con le stesse motivazioni espresse nella decisione sull’Avviso di liquidazione. Anche avverso tale sentenza l’ipermercato ricorreva per Cassazione.
Con il primo motivo il contribuente sostiene che la TARSU non sia una TASSA (ciòè un tributo che si versa in funzione dell’utilità che si ritrae dallo svolgimento di un servizio) bensì una IMPOSTA (che non presenta alcuna relazione con lo svolgimento di un pubblico servizio), puntualizzando, poi, che nel caso in questione il Comune non ha svolto alcun servizio e che ai sensi dell’art. 62 del decr. legisl. n. 507/1993 la tarsu è dovuta solo nelle zone in cui il servizio è istituito e svolto in maniera continuativa. Il Comune di Napoli ha svolto una ricostruzione della normativa analoga a quella contenuta nei giudizi di primo e secondo grado.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7647/2018, del 28n marzo 2018, ha in via preliminare disposto la riunione dei due ricorsi avverso le sentenze della CTR ed ha ritenuto inconferente la distinzione tra IMPOSTA e TASSA in quanto la TARSU, a prescindere dal nomen iuris usato, presenta una struttura autoritativa e non sinallagmatica della prestazione, con la conseguente doverosità della prestazione stessa, caratterizzata da una forte impronta pubblicistica, volta a coprire anche le spese pubbliche afferenti ad un servzio indivisibile, reso a favore della collettività e non riconducibile ad un rapporto sinallagmatico.
La Suprema Corte ha poi rilevato che le sentenze CTR si pongono in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui la dichiarazione di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani, prevista nell’art. 21, comma 2, del decr. legisl. n. 22/1997, richiede la concreta individuazione delle caratteristiche, non solo qualitative, ma anche quantitative dei rifiuti stessi poiché l’impatto igienico ed ambientale di un materiale di scarto non può essere valutato a prescindere dalla sua quantità-Detta indagine non risulta essere stata svolta nel caso in questione. Ha poi rilevato che le sentenze impugnate sono prive di qualsiasi riferimento alla valutazione delle prove, che pure nei ricorsi si affermano offerte, dal momento che spetta al contribuente l’onere di fornire al Comune i dati relativi alla esistenza ed alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani, posto che, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo cui spetta all’Amministrazione provare i fatti che costituiscono fonte dell’obbligazione tributaria, per quanto attiene alla quantificazione del tributo grava sull’interessato un onere di informazione al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopra descritte dalla superficie tassabile. Ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili.
Ad avviso della Corte, deve altresì considerarsi che, qualora si accertasse che i rifiuti prodotti dall’ipermercato fossero assimilabili a quelli solidi urbani, per effetto dell’art. 59 del decr. legisl. n. 507/1993, ove il servizio di raccolta sebbene istituito o attivato, non fosse svolto nella zona di residenza a disposizione ovvero di esercizio dell’attività dell’utente, il tributo sarebbe dovuto nella misura ridotta fino al 40 per cento della tariffa e solo nella ipotesi in cui l’interruzione del servizio sia temporanea o dovuta a motivi sindacali ovvero ad imprevedibili impedimenti organizzativi potrebbe escludersi l’esonero o la riduzione dal tributo.
In conclusione, la Corte ha deciso di accogliere i ricorsi con la cassazione delle sentenze e con rinvio alla CTR in diversa composizione per accertare: se la società abbia assolto all’obbligo di denuncia relativo al preteso diritto di non pagare il tributo in relazione alla tipologia di imballaggio; se sussistano le delibere comunali di assimilazione degli imballaggi in questione ai rifiuti solidi urbani o ai rifiuti speciali; se la società contribuente abbia fornito la prova del mancato svolgimento del servizio ed in tal caso venga determinata una minore superficie imponibile con importo ridotto della tariffa.
LINK – CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 7647/2018, DEL 28 MARZO 2018
Articolo realizzato in collaborazione con la redazione della rivista Finanza Territoriale www.finanzaterritoriale.it