Durante le feste ho accompagnato mio figlio a prendere un treno alla stazione Termini, ma a un certo punto ho trovato lo sbarramento di un cancello e ha potuto proseguire soltanto lui, munito del biglietto. Ormai da qualche mese è diventato impossibile accompagnare amici e familiari in partenza fino ai binari del treno, almeno nelle stazioni di Milano Centrale (da maggio), Roma Termini (da settembre) e Firenze Santa Maria Novella (nei prossimi mesi).
Come dicevo l’ingresso è chiuso da un gate – che immette in una seconda area – presidiato da apposito personale, che controlla se hai il biglietto. Un progetto di FS (e Forze dell’Ordine) che trova la sua ratio nello scopo di prevenire forme di illegalità, accattonaggio, evasione, vendite abusive, etc. Naturalmente dopo gli attentati di Parigi la sorveglianza ai cancelli è ancora più severa. Non contesto la necessità di misure del genere, e anzi so che una maggiore sicurezza (dopo l’installazione delle barriere i reati sono diminuiti in quell’area fino al 90%!) si paga – ragionevolmente – con qualche piccolo sacrificio sul terreno delle libertà personali.
Ma la costruzione dei varchi incide prepotentemente anche sull’immaginario, sulla cultura, sulle nostre abitudini e su certi rituali legati agli affetti più intimi. Non si contano i film italiani in cui qualche scena-madre non si svolga proprio in prossimità dei treni. Pensiamo a Stazione Termini di Vittorio De Sica (1953) , dove tra i binari lui insegue lei per non farla partire, Il ferroviere di Germi (1955), Amici miei di Monicelli (1975), con la celebre “zingarata” dello schiaffeggiare a tradimento i passeggeri in partenza, Cafè express di Nanni Loy (1980), che ha proprio come protagonista un venditore abusivo di caffè, infine La stazione di Rubini (1990), anche se si svolge in una minuscola stazione di campagna. Purtroppo non è vero che il terrorismo -come peraltro qualsiasi altra emergenza drammatica – non ci farà cambiare stili di vita.
Dovremo rinunciare ad accompagnare un figlio, una persona cara, etc. in prossimità dei binari, a salutarla mentre il treno si muove, o a seguirla, come a volte accadeva, fin dentro il vagone. E’ una misura inevitabile, ma anche la perdita di qualcosa: di una esperienza preziosa, di una modalità di commozione, di lacrime e sogni comuni.