La concessione della cittadinanza italiana è atto ampiamente discrezionale, che deve non solo tenere conto di fatti penalmente rilevanti, esplicitamente indicati dal legislatore, ma anche valutare l’area della loro prevenzione; di guisa che l’atto in questione implica accurati apprezzamenti da parte dell’Amministrazione sulla personalità e sulla condotta di vita dell’interessato e si esplica in un potere valutativo circa l’avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale sotto i molteplici profili della sua condizione lavorativa, economica, familiare e di irreprensibilità della condotta.
Ha ricordato la Sezione che e il provvedimento di diniego della concessione non è sindacabile per i profili di merito della valutazione dell’Amministrazione (Cons. Stato, sez. III, 6 settembre 2016, n. 3819; id. 25 agosto 2016, n. 3696; id. 11 marzo 2016, n. 1874), mentre lo è invece, e pienamente, per i suoi eventuali profili di eccesso di potere, tra i quali è tradizionalmente annoverata l’inadeguatezza della motivazione (Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2006, n. 3456; id., sez. III, 26 ottobre 2016, n. 4498).
Quanto all’onere motivazionale, la giurisprudenza ha più volte rilevato che il provvedimento di diniego della richiesta cittadinanza italiana non deve necessariamente riportare analiticamente le notizie sulla base delle quali si è addivenuti al giudizio di sintesi finale, essendo sufficiente quest’ultimo laddove una più particolareggiata ostensione dei dati rilevanti potrebbe in qualche modo compromettere l’attività preventiva o di controllo da parte degli organi a ciò preposti ed anche le connesse esigenze di salvaguardia della incolumità di coloro che hanno effettuato le indagini (Cons. Stato, sez. III, 6 settembre 2018 n. 5262; id. 29 maggio 2018, n. 3206).
Tuttavia, se è l’attenzione alla salvaguardia delle attività preventive e di indagine che giustifica una esplicazione in termini sintetici dell’onere motivazionale, deve per contro ritenersi che – nei casi in cui tale preminente esigenza non si ponga – l’obbligo ex art. 3, l. n. 241 del 1990 torni a vigere nella sua più ordinaria dimensione; e, quindi, in termini proporzionati alla varietà delle circostanze meritevoli di considerazione nel giudizio discrezionale dell’amministrazione.
Nel senso di una esplicazione dell’onere motivazionale proporzionata e coerente alle specifiche emergenze del caso, va quindi rilevato che (Cons. Stato, sez. III, 14 maggio 2019, n. 3121): il parametro della “motivazione sufficiente” non ha carattere rigido né assoluto, ma si presta ad essere adeguatamente calibrato in funzione, anche, della delicatezza degli interessi, pubblici e privati, coinvolti, che potrebbero ricevere pregiudizio già per effetto di un indiscriminato ed incontrollato palesamento dei fatti accertati dall’Amministrazione e degli strumenti istruttori utilizzati; si legittima pertanto un assolvimento “attenuato” dell’obbligo esplicativo delle ragioni del provvedimento, da parte dell’Amministrazione, quando una più ampia disclosure, già nel contesto del provvedimento medesimo, dei dati e delle informazioni in possesso dell’Amministrazione, potrebbe costituire un attentato alla segretezza connaturata allo svolgimento di investigazioni particolarmente penetranti ed in ambiti estremamente rischiosi; nella medesima ottica funzionale, risulta ineludibile la distinzione tra motivazione del provvedimento di diniego, la cui ostensione, ai fini della valutazione della sua sufficienza in concreto, deve essere perimetrata alla stregua dei principi che precedono, e sindacato di legittimità secondo il paradigma dell’eccesso di potere, al cui esercizio concorrono tutti gli elementi istruttori acquisiti ed acquisibili, anche nell’esercizio dei poteri istruttori spettanti al giudice amministrativo ovvero nel quadro dell’esercizio del diritto di accesso da parte dell’interessato (Cons. Stato, sez. III, 29 marzo 2019, n. 2102).