Salvaguardare la lingua lombarda dall’estinzione e riaffermare le radici cristiane della Lombardia. Ci sono anche questi due obbiettivi nel progetto di legge che riordina la cultura in Lombardia discusso ieri nell’aula del Consiglio regionale tra le polemiche dell’opposizione e approvato con 39 voti favorevoli e 29 astenuti su 68 votanti. La legge, molto articolata, si impegna a riordinare una normativa regionale piuttosto frammentata e si prefigge vari obiettivi tra cui appunto quello che viaggia accanto alla proposta di valorizzare la lingua lombarda fin dai banchi di scuola: “C’è chi vuole portare l’ideologia gender nelle scuole, noi preferiamo portare la cultura lombarda“, spiega l’assessore regionale alla Cultura, Cristina Cappellini, aprendo il suo intervento in Consiglio.
Il provvedimento (24 articoli riassunti in una decina di pagine) si prefigge di semplificare e unificare le normative che regolano le attività culturali, aggiornando un testo che stava ammuffendo dagli anni Settanta. E fin qui tutto liscio. Quello che non piace a gran parte della sinistra è la proposta in salsa leghista di mantenere viva la lingua lombarda che, a detta dell’Unesco, è destinata a sparire.
Una disposizione, quella della maggioranza, che ovviamente non ha convinto né M5s, né Pd e né Patto civico, portando i tre partiti di opposizione ad astenersi. L’opposizione, pur riconoscendo vari “punti di luce” in una riforma “che si impegna a fare ordine su normative fin ora troppo vaghe e frammentate”, sul punto della lingua lombarda “profuma di propaganda“, come dichiara il capogruppo di Patto civico Roberto Bruni. Il consigliere di opposizione, con una visione condivisa sia dai consiglieri Pd Enrico Brambilla e Fabio Pizzul che dal pentastellato Andrea Fiasconaro, oltre a mettere in dubbio l’esistenza stessa della lingua lombarda, imputa alla giunta regionale “un eccessivo conservativismo in stile difensivo”.
I rappresentati della minoranza da Bruni alla collega di movimento Daniela Mainini, da Brambilla a Pizzul, concordano sul fatto che la lingua lombarda non esiste e si è persa l’occasione invece di valorizzare le vere identità linguistiche, ossia i dialetti, che differiscono molto l’un dall’altro ma che almeno quelli sì sono riconosciuti come idiomi identitari.
“Questa legge di riordino in tema di cultura nasce da un’esigenza sacrosanta ma la logica conservativa e un po’ passatista che ne ispira alcuni importanti passaggi getta purtroppo un’ombra inquietante anche sui diversi aspetti positivi del testo”, dichiara Bruni, mentre Mainini è ancora più netta: “Lo dicono esperti e studiosi, lo testimoniano i pareri degli istituti linguistici delle Università di Milano e Pavia: la lingua lombarda è inesistente“. E su questo fatto “la Lega non riesce a farsene una ragione. Occorreva- continua Mainini- parlare di valorizzazione della molteplicità dei dialetti lombardi, del patrimonio linguistico lombardo. Invece hanno scelto una strada identitaria fondata su premesse sbagliate, rinnegando anche la possibilità di un dialogo tra religioni diverse, necessario oltre che culturalmente arricchente. E hanno così compromesso l’intero lavoro”.
Quale idea di cultura c’è dietro questo progetto di riordino? “Francamente abbiamo fatto fatica a capirlo. Mi sembra una legge senz’anima, senza idee, compilativa”, dice il dem Pizzul, che nel disegno di legge riconosce tre parole: “conservazione, identità e tradizione. Il tutto riletto in maniera localistica e tendenzialmente nostalgica. Ma la cultura della Lombardia che guarda al futuro può basarsi su questi atteggiamenti?” Si chiede e si domanda se la Lombardia possa “vincere le sfide che il mondo attuale le pone di fronte semplicemente pensando a difendere il proprio passato, per non parlare delle risorse messe a disposizione delle politiche culturali”, che nel 2010 erano 52 milioni, mentre oggi appena 18. “Si parla di cultura lombarda, ma non si trovano i soldi per sostenerla davvero”, conclude il democratico.