La Costituzione non esclude la giurisdizione del giudice ordinario – giudice “naturale” dei diritti – sul contenzioso che nasce nel cosiddetto procedimento preparatorio alle elezioni politiche nazionali, e che include le controversie relative all’ammissione di liste o di candidati, coinvolgendo quindi il diritto di elettorato passivo garantito dall’articolo 51 della Costituzione. Ferma la necessità di garantire l’indipendenza delle Camere – attraverso la riserva alle Giunte parlamentari del compito di giudicare i titoli di ammissione dei proclamati eletti – l’articolo 66 della Costituzione, sia nella formulazione testuale sia alla luce dei lavori dell’Assemblea costituente, «non sottrae affatto al giudice ordinario, quale giudice naturale dei diritti, la competenza a conoscere della violazione del diritto di elettorato passivo nella fase antecedente alle elezioni, quando non si ragiona né di componenti eletti di un’assemblea parlamentare, né dei loro titoli di ammissione».
Sono alcune delle affermazioni di maggior rilievo contenute nella sentenza n.48 (relatore Nicolò Zanon) depositata il 26 marzo scorso, con cui la Corte costituzionale ha deciso le questioni sollevate dal Tribunale di Roma sul Testo unico delle norme per l’elezione della Camera dei deputati (articolo 18-bis Dpr n. 361 del 1957). Investito da un ricorso dell’associazione politica + Europa e di un candidato della medesima lista, il Tribunale dubitava della conformità a Costituzione dell’articolo 18-bis là dove stabilisce, da un lato, il numero minimo di sottoscrizioni che ciascuna lista deve raccogliere per presentarsi alle elezioni per la Camera dei deputati e, dall’altro, l’ambito dei soggetti esonerati dal relativo onere. In particolare, secondo il Tribunale doveva considerarsi eccessivo il numero di firme da raccogliere in ciascun collegio plurinominale (almeno 1500), e troppo ristretto il novero dei soggetti politici esonerati dall’onere di raccogliere le sottoscrizioni (limitato ai soggetti costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere).
La Corte – dopo aver preso atto dell’assenza di un rito processuale che, in relazione alle elezioni politiche nazionali, consenta la tutela giurisdizionale tempestiva del diritto di elettorato passivo – ha ritenuto comunque sussistente la giurisdizione del giudice ordinario, soprattutto al fine di evitare il permanere di un ambito dell’ordinamento giuridico immune dal controllo di costituzionalità. Si legge infatti nella sentenza: «In un quadro in cui è la stessa Costituzione a disporre termini stringenti (in base all’articolo 61 della Costituzione le elezioni delle nuove Camere devono svolgersi entro 70 giorni dalla fine delle precedenti), ne deriva la necessità, anche per le elezioni politiche, della previsione di un rito ad hoc, che assicuri una giustizia pre-elettorale tempestiva. In attesa del necessario intervento del legislatore, allo stato attuale della normativa e delle interpretazioni su di essa prevalenti, l’azione di accertamento di fronte al giudice ordinario – sempre che sussista l’interesse ad agire (articolo 100 del Codice di procedura civile) – risulta l’unico rimedio possibile per consentire la verifica della pienezza del diritto di elettorato passivo e la sua conformità alla Costituzione».
La prima censura, relativa al numero minimo di sottoscrizioni necessario per presentare liste nei collegi plurinominali, è stata comunque ritenuta non fondata. Infatti, alla luce dell’ampia discrezionalità spettante al legislatore in materia e in considerazione, inoltre, dell’interesse costituzionalmente rilevante alla serietà delle candidature, la quantità di firme richieste non è stata giudicata manifestamente irragionevole. La seconda censura, volta ad estendere l’ambito dei soggetti esonerati dall’onere di raccolta delle sottoscrizioni, è stata invece ritenuta inammissibile, perché affetta da carenza di motivazione, sia sull’interesse ad agire dei ricorrenti nel giudizio a quo, sia, di riflesso, sulla rilevanza.
Fonte: Ufficio stampa della Corte costituzionale