La CTR della Toscana ha ritenuto illegittima l’INGIUNZIONE di pagamento ex R.D. 639/1910 notificata dal Comune di Pisa per la riscossione di una entrata tributaria, nella considerazione che la SEPI, società in house del Comune, concessionaria del servizio, non fosse abilitata all’esercizio di tale funzione non risultando iscritta nell’Albo Ministeriale di cui all’art. 53 del decr. legisl. n. 446/1997, né rivestisse la qualifica di società pubblica esercente la propria attività esclusivamente nell’ambito territoriale del Comune di Pisa (detentore del 95 per cento del capitale sociale), in quanto partecipata anche da altri Comuni per i quali svolgeva analoga funzione di riscossione dei tributi.
La SEPI ha prodotto ricorso per Cassazione basato sull’unico motivo di violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del decr. legisl- n. 446/1997, sostenendo che ragioni logico-sistematiche, quali il favor legislativo per l’esercizio in forma associata dei servizi locali, e di conformità al diritto europeo, deponessero per il necessario collegamento dell’attività delle società pubbliche di riscossione con il territorio in generale e non solo del Comune titolare del controllo societario.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 456/2018, Sez. V Civile, pubblicata in data 11 gennaio 2018, ha ritenuto fondato il motivo di ricorso opposto dalla ricorrente, per avere la CTR fondato la sentenza su una ragione di ordine interpretativo della norma, in relazione alla preclusione del mancato inserimento dei soggetti quali la SEPI nel novero di quelli legittimati alla riscossione ai sensi dell’art. 52 del citato decreto, che nella formulazione applicabile RATIONE TEMMPORIS prevedeva che i Comuni potessero affidare le funzioni di accertamento e riscossione delle entrate alle società con capitale interamente pubblico a condizione che l’ente titolare del capitale eserciti sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente che la controlla, e svolga la propria attività solo nell’ambito territoriale di pertinenza dell’ente che la controlla.
Ad avviso della Suprema Corte, il fatto che la norma si riferisca letteralmente all’ipotesi in cui la società sia IN HOUSE DI UN SOLO ENTE, non può escludere che la stessa sia interpretata in modo tale da “valorizzarne a pieno la ratio (al di là del dato letterale caratterizzato dall’impiego del numero singolare) che è appunto quella di estendere alle attività di accertamento e riscossione dei tributi locali, i vantaggi del legislatore stesso ravvisati nell’esercizio associato dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”, con riferimento all’art. 113, c. 5, del TUEL n. 267/2000.
La possibilità, poi, che il controllo analogo venga espletato congiuntamente da una pluralità di enti publci detentori del capitale sociale (come nel caso di specie) è pacificamente riconosciuta anche dalla giurispr. Amministrativa (ad es. sentenze Consiglio di Stato n.1803/2014 e n. 1447/2011).
In relazione a tale quadro normativo, secondo la Corte “anche il criterio del collegamento territoriale di cui all’art. 52, c. 5, lettera b), n.3, del decr. legisl. n. 446/1997 risulta compatibile con lo svolgimento della attività principale della società nell’ambito territoriale dei Comuni partecipanti al capitale sociale, complessivamente considerati, in modo tale da dover riferire l’espressione legislativa singolare ENTE CHE LA CONTROLLA ad una sineddoche avente significato sostanzialmente corrispondente ad INSIEME DEGLI ENTI (PUBBLICI) CHE LA CONTROLLANO.”
LINK – CASSAZIONE SEZ.V CIV. – SENTENZA N. 456/2018
Articolo realizzato in collaborazione con la redazione della rivista Finanza Territoriale www.finanzaterritoriale.it