La società proprietaria di un complesso ricettivo aveva proposto ricorso alla CTP Palermo, che lo rigettava, avverso il silenzio rifiuto del Comune sulla istanza di rimborso della somma versata al Comune per la tarsu 2005. La CTR SICILIA accoglieva l’appello dichiarando dovuto il rimborso previa detrazione di quanto dovuto per lo stesso titolo in base alle tariffe applicate in precedenza, nella considerazione che il diritto del Comune a diversificare con regolamento la tassa in base a categorie omogenee dovesse essere esercitato con una adeguata motivazione circa i parametri utilizzati, motivazione del tutto assente nell’atto normativo ritenuto illegittimo.
Sul ricorso del Comune, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8309/2018, del 4 aprile 2018, ha ritenuto legittima la pretesa impositiva dell’Ente basata sulla delibera consiliare di approvazione del regolamento ed ha ribadito l’orientamento della stessa Corte secondo cui la previsione di una tariffa alberghiera superiore a quella applicata alle case di civile abitazione deve ritenersi del tutto corretta, posto che costituisce un dato di comune esperienza la maggiore capacità produttiva di rifiuti di uno stabile alberghiero.
La Suprema Corte ha anche affermato che il principio comunitario “chi inquina paga” non è leso dalla disciplina recata dal decr. legisl. n. 507/1993 ed è, quindi, consentita la quantificazione del costo di smaltimento sulla base della superficie dell’immobile posseduto, sia perché detta disciplina non fa applicazione di regimi presuntivi che non consentano un’ampia prova contraria, ma contiene previsioni che commisurano la tassa ad una serie di presupposti variabili o a particolari condizioni. Ha richiamato all’uopo alcune pronunce della CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA le quali hanno valutato la disciplina nazionale tarsu conforme alla direttiva 2006/12, riconoscendo un’ampia discrezionalità alle autorità nazionali per quanto riguarda le modalità di calcolo della tassa, discrezionalità il cui limite costituisce attuazione del principio di proporzionalità, largamente applicato dalla giurisprudenza comunitaria in materia fiscale, secondo il quale non sono ammessi regimi di imposizione i cui fatti costitutivi si fondano su presunzioni legali che non ammettono prova contraria.
Articolo realizzato in collaborazione con la redazione della rivista Finanza Territoriale www.finanzaterritoriale.it