La società AMA (Azienda Municipale Ambiente spa) che gestisce il Servizio Rifiuti notificava alla Soc. Gestione Tubi un AVVISO DI LIQUIDAZIONE della Tarsu, con relativa fattura comprensiva della tariffa, maggiorata del trenta per cento per sanzioni, oltre interessi da quantificare, ed il concessionario della riscossione (Gerit) notificava la CARTELLA DI PAGAMENTO. I due Atti venivano impugnati separatamente dinanzi alla CTP che riuniva i ricorsi e li accoglieva. La CTR LAZIO accoglieva parzialmente l’appello di AMA assumendo che nella specie doveva essere applicato il trenta per cento della parte variabile della tariffa in proporzione alla quantità dei rifiuti avviati direttamente al recupero e documentati dal contribuente.
Nel ricorso per Cassazione avverso la sentenza CTR l’AMA ha eccepito in primo luogo che il ricorso del contribuente avverso la CARTELLA DI PAGAMENTO avrebbe dovuto dichiararsi inammissibile perché tardivo ai sensi dell’art. 21 del decr. legisl. n. 546/1992 poiché diretto a contestare la pretesa tributaria e non vizi formali della cartella stessa, che era stata preceduta dalla notifica della FATTURA/AVVISO DI LIQUIDAZIONE contenente l’indicazione puntuale e completa dei presupposti per la imposizione e delle somme da pagare.
Su tale motivo di ricorso, la Cassazione, Sez. V Civile, con la sentenza n. 26637/2017 del 10 novembre 2017, ha ritenuto di seguire l’indirizzo espresso dalla stessa secondo cui, in tema di contenzioso tributario, l’impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’art. 18 del decr. legisl. n. 546/1992, il quale, tuttavia, abbia natura di atto impositivo (come nella specie, le fatture per la tariffa rifiuti), è una facoltà e non un onere, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità di impugnazione con l’atto successivo (nella specie la cartella di pagamento); il motivo è stato, quindi, ritenuto infondato.
Riguardo, poi, alla censura dell’AMA circa la mancata dimostrazione da parte del contribuente della produzione di rifiuti speciali assimilati agli urbani smaltiti in proprio ai fini della riduzione della tassa, la Suprema Corte ha ritenuto che in tale materia grava sul contribuente stesso l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare delle agevolazioni, atteso che, pur operando il principio secondo il quale è l’Amministrazione a fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, esso non può operare con riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile, o addirittura l’esenzione, costituendo questa una eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale. Di conseguenza, il ricorso dell’AMA è stato accolto limitatamente a tale motivo.