L’Agente della Riscossione, soccombente nel giudizio di opposizione all’azione esecutiva della cartella esattoriale, è condannabile alle spese processuali, a nulla rilevando che lo stesso agisca per conto dell’ente titolare del credito.
E’ questo il giudizio espresso dalla Corte di Cassazione –Sez. VI Civile – con l’ordinanza n. 13537/2018, relativa al ricorso proposto dal concessionario della riscossione avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva accolto l’opposizione ex art. 615 c.p.c. di un cittadino per la riscossione di una cartella esattoriale emessa per il pagamento di sanzioni amministrative irrogate per violazione di norme del Codice della Strada, con la condanna in solido con il Comune di Roma alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio.
Ad avviso della società ricorrente, la sentenza del Tribunale sarebbe viziata da duplice censura: la prima per avere erroneamente considerato “soccombente” la concessionaria della riscossione malgrado l’opposizione fosse stata accolta a seguio della mancata notifica del verbale di accertamento dell’infrazione da parte del Comune; l’altra, in relazione al contenuto delle norme di cui agli articoli 12 e 24 del DPR n. 602/1973, le quali conferiscono all’agente della riscossione l’obbligo ed il potere di verificare la legittimità del titolo esecutivo in base al quale è iniziata l’esecuzione, per cui non possa essere condannato alle spese per fatti imputabili all’ente impositore.
La Suprema Corte, uniformandosi al consolidato orientamento di legittimità, ha giudicato infondate le censure nella considerazione che l’opposizione alla cartella, nel nostro ordinamento, in virtù della scissione tra la titolarità del credito e la titolarità dell’azione esecutiva, va proposta nei confronti dell’agente della riscossione e questi è il solo soggetto cui spetta l’inizio dell’esecuzione, con la sopportazione in tale veste di tute le conseguenze nel caso fondatezza della contestazione. Trova, quindi, applicazione non il criterio della soccombenza, ma quello del principio di causalità, che trova il giusto contrappeso nella facoltà attribuita all’agente della riscossione di chiamare in causa l’ente creditore, quando l’opposizione si fondi su vizi di procedimento o di merito ascrivibili esclusivamente all’ente impositore. Nè, sempre ad avviso della Corte, può farsi carico al debitore della pretesa esattoriale, già assoggettato ad un regime di sfavore, della ripartizione delle spese della lite che egli è stato costretto a promuovere per far valere la illegittimità dell’azione esecutiva stessa, ripartizione tutta interna al rapporto tra ente creditore ed agente della riscossione.
Sulla base delle suddette motivazioni, il ricorso è stato respinto.
LINK – CORTE DI CASSAZIONE – SEZ. VI CIVILE – ORDINANZA N- 13537/2018
Articolo realizzato in collaborazione con la redazione della rivista Finanza Territoriale www.finanzaterritoriale.it