Nuova interpellanza sulla quota variabile Tari. Le questioni sollevate nei giorni scorsi continuano ad alimentare il dibattito alla ricerca di soluzioni certe. Oggetto del nuovo quesito è l’ulteriore effetto che poteva rischiare di produrre la soluzione della quota variabile unica, nel caso in cui una stessa famiglia possieda nel Comune due abitazioni di cui una sfitta. Il Ministero, con la circolare n. 1/DF del 20 novembre 2017 della Direzione Legislaz. Tribut. e Federalismo Fiscale, ha subito chiarito che ad ogni singola utenza corrisponde una autonoma obbligazione tributaria. La quota variabile, infatti, dovendo essere calcolata per ciascuna utenza, va considerata tante volte quante sono le utenze possedute dal nucleo familiare. Pertanto, nel caso riportato nella circolare di una famiglia composta da quattro persone, che detiene nel medesimo comune due immobili utilizzati come utenza domestica, di cui uno di 100 metri quadri e l’altro, non locato, di 80 metri quadri, la quota variabile è dovuta sia per l’immobile di 100 metri quadri che per quello di 80 metri non locato. La presenza di arredo oppure l’attivazione anche di uno solo dei pubblici servizi di erogazione idrica, elettrica, di calore, di gas, telefonica o informatica, costituiscono presunzione semplice dell’occupazione o conduzione dell’immobile e della conseguente attitudine alla produzione di rifiuti.
Ulteriore precisazione viene data sul numero degli occupanti, ai fini del computo della quota variabile del secondo immobile. Sulla base della sentenza della Corte di Cassazione n. 8383 del 5 aprile 2013, in caso di abitazioni per le quali non è quindi possibile stabilire il numero dei componenti, il comune può stabilire, nell’ambito della propria potestà regolamentare, un criterio presuntivo circa il numero degli occupanti, in alternativa a quello dettato dal riferimento alla residenza. A tal fine non è irragionevole far ricorso al metodo proporzionale in rapporto alla superficie del bene. Un sospiro di sollievo per i tanti Comuni turistici dove il gettito Tari proveniente dalle seconde case è significativo, come la legittimazione del criterio di computo dei componenti per fasce di superficie.
Risposta ben più confusa sulla modalità di reperimento delle risorse finanziarie per far fronte ai rimborsi, nel caso in cui la duplicazione delle quote variabili non abbia comportato un aumentato di gettito rispetto al piano finanziario. Le modalità con cui i singoli comuni procedono alla copertura delle somme rimborsate ai contribuenti rientrano nella sfera di autonomia degli stessi, così come la possibilità di intervenire in autotutela. Tuttavia, la possibilità di riportare nel nuovo PEF lo scostamento di gettito è operazione ammessa solo in caso di riduzione della superficie e di eventi imprevedibili. Il caso di specie, che riguarda lo scostamento tra gettito preventivato e quello che il Comune conseguirebbe in esito ai rimborsi, data l’invarianza dei costi, non rientrerebbe tra le ipotesi indicate (!). Conclusioni che il Dipartimento raggiuge analizzando le linee guida Tares, qualificate come importate punto di riferimento anche per la Tari e in fase di aggiornamento.
La soluzione resta così nelle mani dei Comuni che in realtà non hanno molte alternative se non l’unica offerta dal complesso sistema Tari di far leva sul Pef. D’altra parte la circolare ministeriale non fa mai riferimento al ricalcolo delle tariffe, operazione resa impossibile sia per carenza di potestà tariffaria su anni conclusi, in secondo luogo perché questo coinvolgerebbe tutte le utenze domestiche con rideterminazione degli importi dovuti anche per quelle utenze al momento non interessate alla questione, ma che in realtà hanno versato una quota minore rispetto alla quota variabile rideterminata. Uno scenario impensabile. La stessa circolare invita al rimborso su richiesta (non a procedere massivamente al rimborso d’ufficio) e nemmeno fa cenno della questione del ricalcolo. La stessa autotutela invocata nell’ultima interpellanza ai sensi dell’articolo 2-quater del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, non è facilmente applicabili in materia di atti generali che hanno quasi esaurito gli effetti mediante incasso di gran parte delle somme dovute.
In ordine all’istanza di rimborso, trattandosi di tributo, la presentazione di una richiesta implica sempre per l’ente il verificarsi di una situazione significativa impugnabile dall’utente: il diniego esplicito impugnabile ai sensi dell’articolo 19 del d. lgs 546/92 ovvero il silenzio significativo ai sensi dell’art. 19 e 21 del d lgs 546/92, che equivale a rifiuto in caso di mancata risposta entro 90 giorni dall’istanza. In più, va ricordato che in caso di mancata risposta il termine per l’impugnazione del silenzio rifiuto è quinquennale.