L’imposta comunale sulla pubblicità (ICP) disciplinata unitamente alle Pubbliche Affissioni dal decr. legisl. 15 novembre 1993, n. 507, è stata oggetto di notevole contenzioso, dinanzi a tutte le giurisdizioni, sia tributarie che amministrative, specie a causa dei molteplici interventi legislativi di modifica del quadro normativo di base, e ciò pur trattandosi di un tributo locale (sia pure irrinunciabile) di modesto valore economico per la quasi totalità dei Comuni, ad eccezione dei capoluoghi o di quelli con particolari presenze di forme di pubblicità esterna.
Di recente, oggetto di controversia è stata l’applicazione della norma che ha introdotto la facoltà per i Comuni di deliberare una maggiorazione delle tariffe dell’imposta fino al cinquanta per cento (art. 11, c. 10, della Legge n. 449/1007), facoltà sospesa per gli anni dal 2009 al 2011 dall’art. 77 bis del D.L. n.112/2008, abrogato dalla Legge n.44/2012, oggetto anche di una norma interpretativa contenuta nella Legge di stabilità 2016 (art. 1, comma 739, della Legge n. 208/2015).
La CTP di Pescara, in relazione ad un AVVISO DI ACCERTAMENTO ICP per il 2015 emesso dal Comune di Montesilvano, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del suddetto articolo della Legge n. 208/2015 che avrebbe creato due diversi regimi giuridici, rendendo possibile l’esercizio della facoltà di aumento unicamente per quei Comuni che si fossero avvalsi di tale facoltà prima della data di entrata in vigore del decreto legge n. 83/2012 contenente tale previsione nell’articolo 23, comma 11, e non per gli altri Comuni.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n, 15 del 10 gennaio 2018, ha preso in esame il quadro normativo dell’ICP nella sua evoluzione cronologica , chiarendo che il decr. legisl. n. 507/1993 concernente il riordino della finanza territoriale, ha previsto la determinazione della TARIFFA BASE variabile in base alla fascia di appartenenza del Comune, con la possibilità di alcune maggiorazioni la cui applicazione rientrasse nella potestà regolamentare degli Enti stessi, da esercitare entro il 31 marzo dell’anno di riferimento, con decorrenza dal 1° gennaio: trova altresì applicazione il principio di “ultrattivita delle tariffe”, prevedendosi che in caso di mancata delibera per gli anni successivi a quello di adozione del regolamento, sono prorogate le tariffe dell’anno precedente, principio che l’art. 1, comma 160 della Legge n. 296/2006 ha esteso a tutti i tributi locali, stabilendo che “gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. Dette deliberazioni, anche se approvate successivamente all’inizio dell’esercizio purchè entro il termine innanzi indicato, hanno effetto dal 1° gennaio dell’anno di riferimento. In caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno”. L’art. 11, comma 10, della Legge n. 449/1997 ha introdotto la facoltà di stabilire ulteriori maggiorazioni dell’ICP fino ad un massimo del cinquanta per cento della tariffa base. Tale facoltà è stata poi sospesa dal legislatore per il triennio 2009/2011 dall’art. 77 bis del D.L. n. 112/2008, recante il blocco degli aumenti per tutti i tributi locali, articolo, questo, abrogato con decorrenza dal 26 giugno 2912, precisando che i procedimenti già avviati dovevano definirsi in base alle norme abrogate.
In relazione a tale disamina della normativa, la Corte ha ritenuto che la portata della disposizione contenuta nell’art. 1, comma 739 della Legge n. 208/2015 sia di carattere meramente interpretativo, cioè teso a chiarire il senso di norme precedenti, senza introdurre alcun doppio regime impositivo né creare alcuna ingiustificata disparità di trattamento tra i Comuni. Di conseguenza, venuta meno perché abrogata,la norma che consentiva di apportare maggiorazioni all’imposta, gli atti di proroga tacita avrebbero dovuto ritenersi illegittimi, poiché non poteva essere prorogata una maggiorazione non più esistente.
In conclusione, è stata quindi dichiarata inammissibile e non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla CTR di Pescara in relazione all’art. 1, comma 739, della Legge n.208/2015.
Articolo realizzato in collaborazione con la redazione della rivista Finanza Territoriale www.finanzaterritoriale.it