I magistrati che abbracciano la carriera politica sono da sempre al centro di polemiche. La loro scelta è oggetto di valutazioni contrastanti in termini di opportunità e, addirittura, di liceità. C’è chi, ad esempio, come Piercamillo Davigo, ritiene che le due carriere non debbano mai, in nessun caso, sovrapporsi. Altri, invece, ammettono il transito da una funzione all’altra, ma a certe condizioni. Tant’è che, a tre anni dalla prima approvazione del testo al Senato, la Camera è tornata a discutere la proposta di legge sulla materia che dal marzo del 2014 giace congelata a Montecitorio tra le commissioni Giustizia e Affari Costituzionali. Ora è rientrata in aula profondamente modificata rispetto alla prima versione approvata a palazzo Madama. Di conseguenza il testo, una volta licenziato dalla Camera, dovrà tornare al Senato per la terza lettura.
Elemento cardine del ddl è il divieto di candidabilità al Parlamento europeo, a deputato o senatore, presidente e consigliere regionale, provinciale per tutti i magistrati – siano essi ordinari, contabili, amministrativi o militari – che nei 5 anni precedenti l’accettazione della candidatura abbiano prestato servizio nelle sedi o negli uffici giudiziari con competenze riferite in tutto o in parte nella circoscrizione elettorale. Lo stesso criterio si applica al candidato-Sindaco, consigliere comunale, circoscrizionale.
La legge vieta anche di assumere l’incarico di assessore comunale, presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, in tutto o in parte, nel territorio della provincia in cui il magistrato abbia prestato servizio nei cinque anni precedenti la data di accettazione della candidatura o di assunzione dell’incarico.
I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari non possono assumere l’incarico di presidente o vicepresidente del Consiglio, ministro, viceministro, sottosegretario, assessore regionale o comunale se non sono collocati in aspettativa. L’aspettativa è obbligatoria per l’intero periodo di svolgimento del mandato o dell’incarico di governo. Cambiano anche le norme sul ricollocamento nel caso di mancata elezione. I magistrati possono rientrare nel ruolo di provenienza ma, nei due anni successivi alla data delle elezioni, non possono esercitare le funzioni inquirenti, né essere assegnati a un ufficio che ha competenza sulla circoscrizione elettorale nella quale si sono presentati. Al termine del mandato elettivo le toghe che non abbiano ancora raggiunto l’età pensionabile, possono accedere nuovamente agli incarichi, ma come consiglieri o alla procura generale della Cassazione o in alternativa in un distretto di Corte d’appello che non coincida territorialmente con la circoscrizione di elezione.
Il testo prevede l’interdizione per tre anni di assumere incarichi direttivi e il vincolo triennale di esercitare unicamente le funzioni giudicanti in un organo collegiale. In alternativa, i magistrati potranno chiedere di essere assegnati al ministero della Giustizia, ma con una collocazione amministrativa o all’avvocatura dello Stato. Il raggiunto accordo in commissione non garantisce tuttavia un percorso senza ostacoli al testo, che potrebbe inopinatamente subire ulteriori modifiche che ne incepperebbero di nuovo l’iter.