Non tutti sanno che la Città Eterna oltre al nome palese – Roma – ne aveva altri due, uno segreto e un altro dedicato ai riti sacri. Il primo, stabilito al momento della fondazione della città secondo le usanze etrusche e custodito gelosamente solo dal pontifex maximus di turno, non poteva essere rivelato in alcun modo, pena la morte. Se fosse caduto in bocca nemica avrebbe potuto essere utilizzato per il rito dell’Evocatio, in cui si invocava la divinità protettrice della città assediata per offrirgli doni e templi più sontuosi affinché abbandonasse quell’abitato a vantaggio degli assedianti. Tale appellativo segreto venne custodito così bene che ancora oggi gli storici possono azzardare solo supposizioni su quale fosse (Giovanni Pascoli, forse con troppo trasporto romantico, era convinto si trattasse del semplice palindromo, Amor). Il nome sacro invece è noto ed è Flora, Dea delle messi e degli alberi da frutto in genere – non è un caso che Roma venne fondata in primavera. Veniva utilizzato in occasione dei riti dedicati alle divinità protettrici della città e lo si trova più volte nominato nelle opere dei classici latini.
Ebbene, solo una città in tutto l’Impero Romano ebbe l’onore di essere battezzata anche con questo nome: Costantinopoli. Un nome trasfigurato dal suo stesso mito, che ha attraversato i secoli abbagliando eserciti, imperatori e mercanti, probabilmente il centro che più ha segnato la Storia del Mondo Antico dopo Roma. Costruita strato dopo strato, la sua millenaria vicenda comincia all’incirca nel 650 avanti Cristo, ventotto secoli orsono dunque, con l’edificazione di un piccolo centro ad opera dei coloni greci di Megara in uno strategico sperone roccioso all’imbocco dello Stretto del Bosforo, protetto a ovest dal Mar di Marmara e a est da un piccolo ma significativo fiordo: il Corno d’Oro. La nuova colonia venne chiamata Bysantion in onore del Re di Megara e fino all’avvento della dominazione romana attorno al I secolo a.C. la sua storia non spiccò per particolari avvenimenti se non per l’affinamento di una certa arte levantina nel riuscire a sopravvivere, da media città di mercanti quale era, tra gli scontri dei grandi e bellicosi regni di quelle epoche (Persiano, Macedone, Ellenistico eccetera).
Anche sotto i romani Bisanzio pagò dazio per essersi schierata alcune volte contro i propri padroni ma acquistò via via sempre più importanza grazie alla sua posizione strategica per un Impero che controllava ormai tutto il Mediterraneo orientale sino alle coste est del mar Nero. Le vicende di questa periferica cittadina all’imbocco del Bosforo assumono improvvisamente un’importanza centrale sullo scacchiere dell’Evo Antico allorquando Costantino, battuto Licinio nel 324 d.C. grazie anche alla fresca alleanza con la setta dei cristiani sino ad allora perseguitati, la sceglie come nuova capitale dell’Impero. Se tracciate un asse dal centro del Mediterraneo orientale sino al cuore del Mar Nero e un altro dal centro dell’est Europa sino al Medioriente, all’incrocio di questi due assi troverete proprio Bisanzio, ecco spiegata la grande posizione strategica di questa città dalla quale, in pochissimo tempo, poteva transitare un esercito dal quadrante balcanico a quello siriano e una flotta navale dall’Egeo sino alle coste della Colchide, l’attuale Georgia. L’11 maggio del 330 venivano celebrati con gran sfarzo i natali di Costantinopoli – dal nome dell’Imperatore – la Nuova Roma di cui lo stesso Costantino tracciò i confini (il pomerium) con una lancia e, da pontefice massimo, ne celebrò la cerimonia sacra collegando le origini di questa città alla vecchia Roma.
Per l’occasione furono riesumati antichissimi riti etruschi e traslato qui il “Palladio”, la sacra statua in legno protettrice della Città Eterna che, secondo la leggenda, era stata portata nel Lazio addirittura da Enea in fuga da Troia. Onori dunque mai riservati a nessun’altra realtà dell’Impero per nobilitare oltremodo un anonimo centro anatolico destinato a condividere con Roma il gravoso compito di dominare Europa e vicino oriente. A Costantinopoli venne edificata la prima grande basilica cristiana della Storia – Santa Sofia – e fu da qui, prima che da Roma, che si irradiò con maggior forza la nuova religione come testimoniano gli innumerevoli concili tenutisi in Anatolia durante i primi timidi e travagliati secoli del cammino della Chiesa. Al momento della fondazione da parte di Costantino si ipotizza che la nuova città arrivasse a 200.000 abitanti, attratti i ricchi dalle offerte latifondiste dell’Imperatore e la plebaglia dalla possibilità di trovare qualche impiego. Costantinopoli sfruttò da subito le possibilità offerte dal nuovo rango politico-religioso che moltiplicava esponenzialmente le possibilità già offerte dalla sua secolare tradizione mercantilista.
Con le conquiste di aree del mondo dominate in precedenza da raffinate culture millenarie (Grecia, Egitto, Anatolia e Medioriente) l’Impero Romano spostava inevitabilmente il suo baricentro a oriente. Era qui e non fra i barbari delle lande galliche o iberiche che si potevano coltivare la filosofia, i misteri, l’arte statuaria e pittorica, le rivelazioni dei grandi iniziati e commerciare merci più pregiate e i Romani lo sapevano. Per tutto questo Costantinopoli sopravvisse al crollo dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C. e riuscì a tenere unito in una sorta di talassocrazia quello d’Oriente per un ulteriore millennio. Nel 1453, altra data fondamentale nella storia del mondo, l’Impero Bizantino o quel che ne resta (lo storico Fernand Braudel definì Costantinopoli «una città isolata, un cuore, rimasto miracolosamente vivo, di un corpo enorme da lungo tempo cadavere») crolla sotto i colpi dell’esercito ottomano. La notte del 28 maggio venne celebrata l’ultima messa cristiana a Santa Sofia e alle prime luci dell’alba del giorno successivo i giannizzeri di Maometto II il Conquistatore entravano in città dopo aver sfondato in più punti le sue mura. Navi veneziane, genovesi e bizantine evacuarono il più alto numero possibile di abitanti, quelli che restarono subirono un saccheggio così violento da parte dei soldati che il sultano stesso fu costretto a intervenire per bloccarli nonostante avesse promesso tre giorni di “libertà” alle sue truppe.
Maometto II conquista una città già comunque in disarmo che contava ormai solo cinquantamila abitanti; lontani i fasti del V secolo quando al suo interno vivevano probabilmente settecentomila individui – un numero incredibile per l’epoca – o il XIII secolo quando la popolazione si attestava sulle 400 mila unità. Il sultano la confermò comunque come capitale del suo Impero e i suoi architetti – Sinàn su tutti – la risolleveranno dalla polvere in cui era caduta edificando sontuose moschee e raffinati palazzi. In fondo fu un passaggio di consegne tra un Impero ormai al capolinea e un altro che invece doveva ancora dispiegare tutta la sua vitalità tra i Balcani e il Medioriente. Nonostante il quasi costante stato di guerra con l’Occidente, la Costantinopoli ottomana concesse discrete libertà agli ortodossi rimasti e mantenne vivi i contatti con le potenze mercantili cristiane – Venezia e Genova su tutte. Tali contatti regalarono all’Europa due perle destinate a divenire in seguito un tutt’uno con molte culture del Vecchio Continente: il tulipano, il fiore dei sultani per eccellenza, così chiamato dalla forma a turbante (dulbant) e il caffè, del quale gli europei vennero a conoscenza nel XVII secolo dopo l’assedio di Vienna da parte dei giannizzeri del sultano. Con l’800 e l’avvento della Rivoluzione industriale e del colonialismo l’Occidente lascia indietro il mondo musulmano, ormai in crisi, e lo ammanta di un romanticismo di cui l’Orient Express fu solo l’ultimo gingillo. Al 1900 Costantinopoli conta già circa 900.000 abitanti, è una città in fermento per le spinte laiciste che la scuotono dal di dentro. I suoi caffè pullulano di letterati e bohemién europei certo ma anche di giovani intellettuali turchi che discutono di politica e modernità.
La sconfitta della Prima Guerra Mondiale manda definitivamente in pezzi l’Impero Ottomano da cui scaturiscono una miriade di nuovi Stati nazionali tra cui spicca per importanza e posizione di cerniera tra oriente e occidente la Turchia nata ufficialmente nel 1923. Come capitale venne scelta la più baricentrica Ankara e Costantinopoli cambiò ufficialmente nome in Istanbul, toponimo già in essere come alias della città e che all’orecchio parve più turco. Per la prima volta da quel 11 maggio del 330 Bisanzio – Costantinopoli – Istanbul non riveste alcuna carica politica ma la sua importanza economicostrategica non verrà messa in discussione neppure stavolta. Soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale la città conosce un boom senza precedenti con, purtroppo, il sacrificio di intere porzioni degli antichi quartieri in legno caratteristici della vecchia capitale ottomana. Tra i grattacieli di Besiktas, i tre avveniristici ponti sul Bosforo e le colate di cemento che assediano venerabili moschee e decrepiti hammam, la Istanbul narrata da Pamuk e catturata dall’obbiettivo di Ara Guler non c’è più. Al suo posto è una megalopoli di sedici milioni di abitanti adagiata per cento km tra Europa ed Asia e tra Mar di Marmara e Mar Nero, luogo di contraddizioni estreme magnificamente sintetizzate dal canto del muezzin e dalla musica tecno che si frappongono l’uno a l’altra tra i vicoli di Istiklal Caddesi, salendo verso Piazza Taksim. Una megalopoli dove nonostante tutto soffia ancora la grande Storia, il Mito di ciò che fu il misterioso oriente mediterraneo e il suo ancor più oscuro figlio, il Mar Nero. “Venezia mi ricorda istintivamente Istanbul; stessi palazzi addosso al mare, rossi tramonti che si perdono nel nulla” cantava Franco Battiato nel 1980 quando una grande città adagiata sul Bosforo ancora non sapeva che da grande avrebbe fatto la megalopoli.