La terza sezione del Consiglio di Stato ha proposto, nella sentenza 4168/2020, un lungo e rigoroso excursus sulla legittimità dell’emissione di un provvedimento di interdittiva antimafia per associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito dei rifiuti.
L’interesse che da anni muove le organizzazioni criminali di tipo mafioso nel settore dei rifiuti, spiegano i giudici di Palazzo Spada, rappresenta oramai un fatto notorio, tanto che è stato coniato un termine ad hoc per definirle, “ecomafie”. L’attenzione dell’ordinamento per i fenomeni illeciti che possono interessare l’intero ciclo della gestione dei rifiuti è, pertanto, massima, in ragione del disvalore sociale e del notevole danno, ambientale ma non solo, che l’infiltrazione di soggetti portatori di interessi contrastanti con gli interessi dello Stato-comunità comporta. Il danno ambientale che deriva dalla raccolta, trattamento, smaltimento illecito di rifiuti, specialmente se speciali o pericolosi, è definitivo e, nella quasi totalità delle ipotesi, irreparabile: il che impone all’Autorità preposta di intervenire, esercitando l’ampia gamma di poteri che il Legislatore le ha attribuito, in una fase preventiva rispetto alla causazione del danno. Appare evidente, pertanto, la stretta correlazione che intercorre tra la prevenzione del danno ambientale e le misure anticipatorie e preventive che l’Autorità pubblica è chiamata a porre in essere in tutti i settori interessati. In particolare, nella materia che qui occupa, il Legislatore ha mostrato di ritenere estremamente gravi talune fattispecie di reato, con riferimento alle quali ha posto, in buona sostanza, una presunzione assoluta di pericolosità, che vincola l’Autorità competente (la Prefettura) ad adottare il provvedimento di rigore dell’informativa interdittiva antimafia nei confronti dell’impresa o della società che sia stata interessata da provvedimenti dell’autorità penale per determinati reati.
È sufficiente, ai fini dell’emissione di un’informativa interdittiva antimafia e della valutazione in sede giurisdizionale in ordine alla sua legittimità, l’essere ragionevolmente persuasi della ricorrenza, nel caso che viene in rilievo, di indici fortemente sintomatici di contiguità, connivenza o comunque condivisione di intenti criminali. Il metro di valutazione è, come noto, quello del “più probabile che non”, nel rispetto d’altronde della ratio dell’istituto in esame e delle finalità di “cautela avanzata” di fronte ad ogni pericolo o tentativo di infiltrazione mafiosa nel tessuto della attività economica, specialmente se esercitata in ambiti tradizionalmente di interesse per le mafie. L’infiltrazione – ovvero il suo tentativo – delle mafie nel tessuto economico e sociale del Paese costituisce pregiudizio gravissimo proprio al valore di cui l’art. 41 Cost. è espressione, giacche’ essa colpisce e mortifica anzitutto la dignità umana, in contrasto con la quale mai, secondo la Carta, l’attività economica può essere svolta. La prevenzione avanzata nei confronti della penetrazione mafiosa nell’economia e nel mercato è, quindi, strumento primario anche a specifica tutela del diritto alla libera (anzitutto del tessuto criminale) iniziativa economica privata. Le condizioni in presenza delle quali un diritto, costituzionalmente protetto, può essere soggetto a limitazioni, sono state da tempo indicate nella cd. “interpretazione tassativizzante”, con decisiva e dirimente conferma da parte della Corte Costituzionale proprio in riferimento alle interdittive antimafia, che ha affermato che l’istituto in esame – lungi dal privare il destinatario del diritto costituzionale di libero esercizio della attività economica, così come il destinatario di una misura definitiva di prevenzione personale – rappresenta il corretto strumento di prevenzione avanzata di fronte al fenomeno gravissimo della forza intimidatoria del vincolo associativo mafioso combinato con la presenza di ingenti capitali illeciti destinati ad inquinare il libero e naturale sviluppo dell’attività economica, e cioè proprio il valore costituzionale da tutelare a beneficio della collettività e dello Stato di Diritto, affermandosi coì il principio della “difesa anticipata” della legalità.