Il legame parentale non costituisce di per sé un indizio dell’infiltrazione mafiosa, specie laddove il parente deriva la propria presunta pericolosità dalla frequentazione di altri soggetti; la pericolosità sociale non si trasferisce infatti automaticamente da un parente all’altro ma occorre almeno ipotizzare che dal rapporto di parentela sia scaturita una cointeressenza in illeciti rapporti o compartecipazione in azioni sospette.
Ha chiarito il C.g.a. che ai sensi dell’art. 84 comma 4, d.lgs. n. 159 del 2011, l’informazione antimafia consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese. L’art. 93 comma 4, dispone che il prefetto valuti se dai dati raccolti possano desumersi elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa, e l’art. 91 comma 6, che il prefetto può, altresì, desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata, nonché dall’accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui all’art. 3, l. 13 agosto 2010, n. 136, commesse con la condizione della reiterazione prevista dall’art. 8-bis, l. 24 novembre 1981, n. 689.
La Corte costituzionale ha inquadrato l’istituto affermando che “il potere di adottare un’informazione interdittiva nei confronti delle imprese private oggetto di tentativi di infiltrazione mafiosa perché, pur comportando tale atto un grave sacrificio della libertà di impresa (nella specie era in gioco l’iscrizione all’albo delle imprese artigiane), esso è giustificato dall’estrema pericolosità del fenomeno mafioso e dal rischio di una lesione della concorrenza e della stessa dignità e libertà umana” (Corte cost. 26 marzo 2020, n. 57).
Con riferimento ai rapporti di parentela la giurisprudenza (Cons. St., III, 8 luglio 2020, n. 4372) ha chiarito che laddove il nucleo forte della motivazione del provvedimento prefettizio consista nella valorizzazione dei legami affettivi o parentali intercorrenti tra esponenti della compagine sociale e soggetti affiliati o vicini alle consorterie criminali, dovranno con chiarezza emergere gli elementi concreti che abbiano indotto l’Autorità a ritenere il predetto legame affettivo o parentale una via d’accesso agevolata alla gestione dell’impresa. Non può dedursi, dal mero vincolo parentale con un soggetto controindicato, non supportato da ulteriori elementi validi, la vocazione criminale del parente stesso: tuttavia, è anche vero che, se non si può scegliere la propria parentela, si può cionondimeno scegliere di prendere le definitive distanze da essa, ove ponga in essere attività non accettabili. Detto altrimenti, ben può il parente di un soggetto riconosciuto affiliato alle consorterie mafiose svolgere attività imprenditoriale, anche interfacciandosi con la committenza pubblica: a condizione, però, che sia chiara la sua distanza concreta e certa dal metodo e dal mondo criminale”.