Nella sentenza 28/2021 la sezione di Brescia del Tar Lombardia ha affrontato il tema dell’affidamento in house di un servizio: la sussistenza del controllo analogo, secondo i giudici amministratiti lombardi, deve essere verificata non rispetto a tutte le amministrazioni socie, ma in rapporto alla singola amministrazione che affida il servizio alla società partecipata.
L’art. 192, c.2, D.Lgs. n. 50/2016, espressione di una linea restrittiva del ricorso all’affidamento diretto da oltre dieci anni, costituisce la risposta all’abuso di tale istituto da parte delle amministrazioni nazionali e locali.
Ai fini dell’affidamento “in house” di un servizio la sussistenza del controllo analogo va verificata non rispetto a tutte le amministrazioni socie, ma in rapporto alla singola amministrazione che affida il servizio alla società partecipata, avuto riguardo alla entità della sua partecipazione, alla composizione della compagine sociale in quel momento, all’esistenza di patti parasociali. Inoltre, non è necessario il possesso da parte dell’Amministrazione affidante di una quota minima del capitale sociale della società affidataria. Nondimeno, in caso di partecipazione pulviscolare, affinché alla modestia della partecipazione non corrisponda una debolezza sia assembleare, sia amministrativa, è necessaria la previsione di strumenti (anche in deroga alle regole di diritto comune, ex art.16, c. 2, D.Lgs. n. 175/2016), che, rafforzando l’azione collettiva delle singole Amministrazioni partecipanti, garantisca loro di incidere sulle decisioni più rilevanti della vita e dell’azione societaria.
Il controllo analogo consiste “in una forma di eterodirezione della società, tale per cui i poteri di governance non appartengono agli organi amministrativi, ma al socio pubblico controllante che si impone a questi ultimi con le proprie decisioni”
Risulta oramai superato l’orientamento tradizionale che considerava l’autoproduzione attraverso società “in house”, da un lato, e il ricorso al mercato attraverso l’aggiudicazione all’esito di una procedura di evidenza pubblica, dall’altro lato, due modelli alternativi di svolgimento del servizio, perfettamente equiparati. L’art. 192, c.2, D.Lgs. n. 50/2016 colloca, infatti, senz’altro “gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto: i) consentendo tali affidamenti soltanto in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante, nonché ii) imponendo comunque all’amministrazione che intenda operare un affidamento in regime di delegazione interorganica di fornire una specifica motivazione circa i benefici per la collettività connessi a tale forma di affidamento” . Tale preferenza riservata all’evidenza pubblica, peraltro, è stata ritenuta non contrastare né con il diritto dell’Ue, né con la Carta costituzionale. Invero, la Corte di Giustizia ha chiarito che, come il diritto dell’Ue non obbliga gli Stati membri a esternalizzare la prestazione dei servizi, così non li obbliga a ricorrere sempre e comunque all’autoproduzione, ben potendo questa essere subordinata dal legislatore nazionale a una serie di ulteriori condizioni. Al contempo, la Corte costituzionale, nell’affermare l’infondatezza delle questioni di illegittimità costituzionale dell’art. 192, c. 2, D.Lgs. n. 50/2016 in relazione all’art. 76 Cost. e all’art.1, c. 1, lettere a) ed eee), L. n. 11/2016, ha osservato che detta disposizione “è espressione di una linea restrittiva del ricorso all’affidamento diretto che è costante nel nostro ordinamento da oltre dieci anni, e che costituisce la risposta all’abuso di tale istituto da parte delle amministrazioni nazionali e locali” e che essa “risponde agli interessi costituzionalmente tutelati della trasparenza amministrativa e della tutela della concorrenza.