Quali saranno gli effetti dell’epidemia di Covid-19 sull’intero tessuto socio-economico della Penisola, dal Centro-Nord al Sud? La domanda rimbalza e si ripropone in tutti gli ambienti che contano, ma soprattutto nelle imprese e sulle famiglie. Sarà una catastrofe o si tratta di profezie esagerate che non tengono conto delle effettive risorse ed energie di un Paese che nei momenti più difficili sa dare il meglio di sé? Per avere un quadro il più serio e obiettivo possibile, forse dobbiamo rifarci agli studi più autorevoli e accreditati, come il recentissimo rapporto Svimez. “Il lockdown costa 47 miliardi al mese (3,1% del Pil), 37 al Centro-Nord, 10 al Sud- scrivono ad esempio gli analisti che quel report hanno stilato, e aggiungono – Considerando una ripresa delle attività nella seconda parte dell’anno, il Pil nel 2020 si ridurrebbe del -8,4% per l’Italia, del -8,5% al Centro-Nord e del -7,9% nel Mezzogiorno”.
Dal report emerge in sintesi che:
– l’emergenza sanitaria colpisce più il Nord, ma gli impatti sociali ed economici “uniscono” il Paese nella sua interezza;
– il Sud rischia di accusare una maggiore debolezza rispetto al Centro-Nord nella fase della ripresa, perché sconta inevitabilmente la precedente lunga crisi, prima recessiva, poi di sostanziale stagnazione, dalla quale non è mai riuscito a uscire del tutto;
– occorre completare il pacchetto d’interventi già avviati per compensare gli effetti della crisi sui soggetti più deboli, lavoratori non tutelati, famiglie a rischio povertà e micro imprese.
In particolare, se si analizza l’intero sistema economico, tenendo conto anche del sommerso – prosegue il report – sono interessati dal lockdown il 34,3% degli occupati dipendenti e il 41,5% degli indipendenti. Al Nord l’impatto sull’occupazione dipendente risulta più intenso che nel Mezzogiorno (36,7% contro il 31,4%) per l’effetto della concentrazione territoriale di aziende di maggiore dimensione e solidità. La struttura più fragile e parcellizzata dell’occupazione meridionale si è tradotta in un lockdown a maggiore impatto sugli occupati indipendenti (42,7% rispetto al 41,3% del Centro e del Nord). Sono “fermi” circa 2,5 milioni di lavoratori indipendenti interessati: oltre 1,2 milioni al Nord, oltre 500 mila al Centro, quasi 800 mila nel Mezzogiorno. Si tratta in larga parte di autonomi e partite Iva: oltre 2,1 milioni, di cui 1 milione al Nord, oltre 400 mila al Centro e quasi 700 mila nel Mezzogiorno.
Complessivamente – concludono gli analisti di Svimez – i dati territoriali sul blocco delle attività economiche delineano un quadro assai più problematico dell’ultima crisi. Il blocco improvviso e inatteso coglie impreparate le molte imprese meridionali che non hanno ancora completato il percorso di rientro dallo stato di difficoltà causato dall’ultima crisi. Rispetto alla grande crisi, il processo di selezione, allora dispiegatosi lungo un arco temporale ampio, oggi è anticipato all’inizio alla crisi con un’interruzione improvvisa che ha posto immediatamente al policy maker l’urgenza di intervenire a sostegno della liquidità delle imprese, di ogni dimensione. Un’urgenza che si è tradotta nel d.l. liquidità approvato nel Consiglio dei Ministri del 7 aprile. Sulla base dei dati di bilancio disponibili per un campione d’imprese con fatturato superiore agli 800.000 euro, le evidenze su grado di indebitamento, redditività operativa e costo dell’indebitamento, portano a stimare una probabilità di uscita dal mercato delle imprese meridionali 4 volte superiore rispetto a quelle del Centro-Nord.