L’Italia è al 25simo posto nell’Unione europea per l’economia digitale. Fanno peggio solo Grecia, Bulgaria e Romania. Lo afferma la Commissione di Bruxelles nel suo rapporto per il 2017 sull’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (indice Desi). Rispetto allo scorso anno, l’Italia ha fatto qualche progresso nella connettività, in particolare con miglioramenti nell’accesso alle tecnologie di ultima generazione (“Next Generation Access”), ma “la bassa performance del Paese nelle competenze digitali rischia di agire come un freno sull’ulteriore sviluppo della digitalizzazione della sua economia e società”. In cima alla classifica si posizionano i paesi nordici (Danimarca, Finlandia e Svezia), seguiti da Lussemburgo, Belgio, Regno Unito e Irlanda. Non sono tanto le infrastrutture e le dotazioni tecnologiche a incidere sulla performance del Belpaese, quanto gli scarsi risultati ottenuti nel campo della cultura e delle competenze. E’ questo il vero tallone d’Achille dell’economia digitale italiana. Un limite che si riflette sull’andamento complessivo del nostro Pil, che cresce meno rispetto a quelli degli altri Paesi Ue. Intanto, è già partito il dibattito fra gli esperti sulle cause del ritardo. Secondo Andrus Ansip, vicepresidente dell’esecutivo comunitario responsabile per il mercato unico digitale, “i trend in Italia sono buoni, vanno nella giusta direzione. Gli errori sono stati fatti molti anni fa. E’ il punto di partenza che penalizza l’Italia”. In effetti, in alcuni settori addirittura si registrano progressi superiori alla media. Tuttavia, in tutti i cinque campi d’analisi presi in esame – connettività, capitale umano, uso di Internet, digitalizzazione delle imprese e servizi pubblici digitali –risultiamo sotto la media, seppur con andamenti diversi. L’utilizzo delle tecnologie digitali da parte delle imprese e l’erogazione di servizi pubblici online sono i due settori nei quali l’Italia si avvicina agli standard.
A parere degli analisti, il maggior punto debole non sta tanto nelle infrastrutture e nelle dotazioni tecnologiche, quanto piuttosto nella carenza di cultura e di competenze digitali. Lo conferma Marco Gay, presidente dei giovani imprenditori di Confindustria, denunciando un forte deficit di personale qualificato nel settore dell’innovazione e delle nuove tecnologie. Infatti, il 22% dei posti di lavoro del settore rimane scoperto per mancanza di candidati. Scarseggiano anche i giovani laureati in materie relative all’economia digitale: sono solo il 33%, mentre la media comunitaria è del 60,5%. “L’indice Desi 2017 dimostra come la direzione intrapresa sia quella giusta – ribatte Antonello Giacomelli, sottosegretario allo sviluppo economico – La crescita italiana sugli indici relativi alla connettività è sostenuta e superiore a quella della media europea – e aggiunge – la classifica Desi 2017 non tiene conto degli interventi nelle aree a fallimento di mercato che scattano a partire da quest’anno, ma soprattutto, essendo un indice solo percentuale, non coglie due elementi che caratterizzano lo sviluppo della banda ultralarga nel nostro paese. Il piano Banda ultralarga, da un lato, consente di avere una rete di proprietà pubblica nelle aree a fallimento di mercato che ha come obiettivo di raggiungere con la fibra ogni cittadino e impresa; dall’altro ha accelerato la competizione infrastrutturale tra privati. Nei prossimi mesi, con gli interventi previsti già oggi e non ancora rilevati dal Desi – conclude Giacomelli – l’Italia è destinata a scalare la classifica internazionale.