“Cuneo fiscale” è una di quelle espressioni evocative che mascherano, purtroppo, realtà molto più prosaiche. Realtà che toccano direttamente le tasche dei cittadini lavoratori, indicando la differenza fra la retribuzione lorda e quella effettiva. In altre parole, i soldi che i dipendenti incassano realmente ogni mese rispetto a quelli che se ne vanno in ritenute e versamenti di vario genere. Nel suo Rapporto 2017 sul coordinamento della finanza pubblica, la Corte dei conti ci fa sapere che in Italia questo “benedetto” cuneo è “di ben 10 punti” più alto rispetto a quello in vigore mediamente nel resto d’Europa. Secondo i magistrati contabili, “il 49% della retribuzione lorda viene prelevato a titolo di contributi (su entrambi) e di imposte (a carico del lavoratore)”.
Di conseguenza, se ne può dedurre in termini di definizione che il cuneo fiscale sia la differenza tra quanto costi un dipendente al datore di lavoro e quanto riceva al netto lo stesso lavoratore, calcolata in percentuale del salario lordo. Per i lavoratori dipendenti, esso è costituito dall’Irpef aumentata dalle addizionali locali e dai contributi previdenziali. Per il lavoratore autonomo e per il libero professionista, invece è costituito da Irpef aumentata dalle addizionali locali, dai contributi previdenziali e dall’Iva.