Il legislatore è tenuto a valutare se l’istituto dell’aggio mantenga ancora «una sua ragion d’essere – posto che rischia di far ricadere su alcuni contribuenti, in modo non proporzionato, i costi complessivi di un’attività ormai svolta quasi interamente dalla stessa amministrazione finanziaria e non più da concessionari privati – o non sia piuttosto divenuto anacronistico e costituisca una delle cause di inefficienza del sistema». L’eccessiva dimensione delle entrate pubbliche non riscosse, pari a circa mille miliardi di euro accumulati in venti anni, rappresenta infatti un’anomalia non riscontrabile nel panorama internazionale e incide sulla funzione della riscossione, originando il paradosso di addossare su una limitata platea di contribuenti, individuati in ragione della loro solvenza (seppure tardiva rispetto alla fase dell’accertamento dei tributi), il peso di una solidarietà né proporzionata né ragionevole, perché determinata, in realtà, dall’ingente costo della sostanziale impotenza dello Stato a riscuotere i propri crediti.
È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza n. 120, depositata il 10 giugno (redattore Luca Antonini), con cui la Corte costituzionale ha deciso le questioni di legittimità sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Venezia sulla remunerazione dell’agente della riscossione mediante l’aggio prevista dall’articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), nel testo applicabile nel 2014. La Corte ha dichiarato inammissibile la questione, ma ha ritenuto opportuno rivolgere un forte monito al legislatore per un urgente intervento di riforma, perché la grave situazione di inefficienza della riscossione coattiva incide negativamente su una fase essenziale della dinamica del prelievo delle entrate pubbliche: non solo si riflette di fatto sulla ragionevolezza e proporzionalità dell’aggio, ma determina una grave compromissione, in particolare, del dovere tributario, che è preordinato al finanziamento del sistema dei diritti costituzionali.
L’inadeguatezza dei meccanismi legislativi della riscossione coattiva nel nostro Paese concorre quindi a impedire «di fatto» alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di cui all’articolo 3, secondo comma, della Costituzione, perché un’adeguata riscossione «è essenziale non solo per la tutela dei diritti sociali, ma anche di gran parte di quelli civili, data l’ingente quantità di risorse necessaria al funzionamento degli apparati sia della tutela giurisdizionale sia della pubblica sicurezza, entrambi indispensabili per la garanzia di tali diritti». Anche un obbligo tributario di ridotto ammontare, come può essere spesso quello derivante da imposte locali, concretizza l’inderogabile dovere di solidarietà previsto dall’articolo 2 della Costituzione e in quanto tale deve essere considerato dall’ordinamento, pena non solo la perdita di rilevanti quote di gettito ma altresì il determinarsi di disorientamento e amarezza per coloro che tempestivamente adempiono e ulteriore spinta a sottrarsi al pagamento spontaneo per molti altri.
Le modalità di una riforma che sia diretta, da un lato, a superare i profili di irragionevolezza della censurata disciplina dell’aggio (sostanzialmente riprodotta, nella sua essenziale struttura, anche nella disciplina vigente) e, dall’altro, a garantire adeguate risorse e soluzioni per l’efficiente funzionamento della riscossione coattiva sono però rimesse, in prima battuta, alla discrezionalità del legislatore, secondo uno spettro di possibilità che varia, tra l’altro, dalla fiscalizzazione degli oneri della riscossione -come avvenuto nei principali Paesi europei (Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna) – a soluzioni anche miste, che prevedano criteri e limiti adeguati per la determinazione di un “aggio” proporzionato.