E’ stato pubblicato il Rapporto Istat sulla conoscenza che tratta in maniera integrata temi multidimensionali di natura strategica per la ripresa. Suddiviso in sei capitoli e 38 quadri tematici, lo studio dell’Istituto nazionale di statistica utilizza il concetto d’informazione economica, o sapere utile, per concentrarsi sulle modalità e sui processi con cui la conoscenza si crea, si trasmette e si utilizza nell’economia come nella società. Nel Report vengono altresì presi in considerazione i fenomeni emergenti, trattati con indicatori e nuove fonti, gli strumenti che favoriscono lo sviluppo della conoscenza e le sfide per le politiche.
Il tema della conoscenza non è quindi affrontato soltanto in termini settoriali di innovazione nei processi e nei prodotti, di ricerca e sviluppo, di brevetti e marchi, di design industriale e proprietà intellettuale, ma più approfonditamente come economia della conoscenza per generare valore. Le schede del Rapporto possono essere lette indipendentemente l’una dall’altra, anche se la loro organizzazione in capitoli suggerisce una chiave analitica e interpretativa che muove dalla creazione di conoscenza alla sua trasmissione, con particolare riferimento all’istruzione, ai suoi usi nei processi economici e nella vita delle persone, agli aspetti che costituiscono uno stimolo alle politiche.
Partiamo dall’attività di ricerca e sviluppo svolta nei laboratori delle imprese, nei centri di ricerca pubblici e nelle università che permette agli attori del sistema economico di accrescere il proprio capitale di conoscitivo, di realizzare applicazioni per le tecnologie esistenti e svilupparne di nuove. Vediamo così che nel 2015 la spesa totale per ricerca e sviluppo sostenuta in Italia è stata pari a circa l’1,3% del Pil, mentre nell’Ue la quota si è mantenuta di poco superiore al 2%. L’intensità di ricerca e sviluppo dell’economia italiana è perciò inferiore rispetto ai principali Paesi europei (tranne la Spagna 1,2%). Il divario è particolarmente ampio per le imprese (meno dello 0,8% rispetto a oltre l’1,3% dell’Ue), ma sussiste anche per le università e i centri di ricerca pubblici.
Sempre in riferimento al 2015, il 60% della spesa in ricerca e sviluppo nazionale è concentrata in Lombardia, Lazio, Piemonte ed Emilia Romagna. In rapporto al Pil, spicca la performance del Piemonte (2,2%), dove risulta significativa l’attività delle imprese. A distanza, seguono la provincia di Trento, l’Emilia Romagna, il Lazio e il Friuli Venezia Giulia. A confronto con il 2007, l’intensità di ricerca e sviluppo è aumentata in misura particolare a Trento, dove pesa molto la componente di ricerca pubblica e universitaria, oltre che in Liguria e in Piemonte.
Nel settore delle imprese la formazione degli addetti rappresenta una forma di investimento strategico sul proprio capitale umano, per migliorare l’efficienza produttiva o adeguarlo ai cambiamenti organizzativi e tecnologici. Inoltre, e in misura crescente, alcuni tipi di attività formativa costituiscono un obbligo di legge, per ridurre l’incidentalità, migliorare le condizioni di lavoro, garantire la qualità dei prodotti. L’attività formativa è variabile tra le diverse attività economiche, spesso in associazione con l’aspetto dimensionale delle imprese stesse. La diffusione è superiore al 90% degli addetti nel caso dei servizi finanziari, e intorno all’75% in quelli di informazione e comunicazione. Nell’industria, i valori più elevati sono raggiunti nelle attività di rete (elettricità, gas, acqua, fognature) e in quelle manifatturiere dei mezzi di trasporto, della meccanica e dell’elettronica, a tecnologia medio-alta e alta. Sotto la media nazionale sono invece le attività caratterizzate da frammentazione produttiva e minore contenuto tecnologico: commercio al dettaglio, alloggio e ristorazione, abbigliamento. Il dato nazionale al netto della formazione obbligatoria fa registrare una marcata divaricazione sul territorio. La quota di imprese formatrici è cresciuta leggermente rispetto al 2010 nelle ripartizioni del Nord (al 54-55%) mentre è diminuita al Sud passando dal 42,6% al 39,9%, nonché nelle Isole dal 42,1 al 35,8%.