Cambiare la destinazione d’uso di un locale dalla categoria catastale C1 (locali commerciali e artigianali) alla categoria C2 (deposito) implica l’obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione al Comune nel cui territorio l’esercizio in questione insista? Nell’affrontare il problema, gli esperti del Servizio Anci Risponde ricordano preliminarmente che il fondamento degli oneri di urbanizzazione (Legge n. 10/1977) non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo modalità eque per la comunità con la conseguenza che, anche nel caso di modificazione della destinazione d’uso, cui si correli un maggiore carico urbanistico, è giustificata l’imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa. Il mutamento, pertanto, è rilevante quando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici (tra le tante, Consiglio di Stato, Sez. V, 30.08.2013, n. 4326; T.a.r. Campania, Napoli, Sez. VIII, 07.04.2016, n. 1769).
“Sicché – aggiungono gli esperti – l’unico criterio per determinare se gli oneri siano dovuti o meno consiste nel carico urbanistico derivante dall’attività edilizia. E per aumento del carico urbanistico deve intendersi, tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelli esistenti (Consiglio di Stato, Sez. VI, 07.05.2018, n. 2694)… Pertanto, deve escludersi la suddetta imposizione quando l’intervento consista in un mutamento di destinazione d’uso che avvenga all’interno della stessa categoria funzionale, mentre il pagamento è dovuto quando il mutamento di destinazione d’uso determini il passaggio a una categoria funzionale autonoma avente maggiore carico urbanistico rispetto a quella pregressa (T.a.r. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 30.04.2018, n. 368)”.
Proseguendo nel ragionamento, vengono ricordate inoltre le seguenti categorie funzionali da considerare per questa valutazione:
- a) residenziale;
a-bis) turistico-ricettiva;
- b) produttiva e direzionale;
- c) commerciale;
- d) rurale.
Considerato che, in linea generale, l’attività di deposito e/o di magazzino produce ricchezza sul ricovero e sullo spostamento di oggetti/merci e non sulla loro creazione o produzione, il servizio Anci risponde ritene, pertanto, che la destinazione a deposito possa essere ricondotta alla categoria funzionale “commerciale” di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 23-ter del D.P.R. n. 380/2001. Al riguardo, dato che il locale presenta una categoria catastale C1 (che corrisponde a “negozi e botteghe”), ferma restando la necessità, di verificare la destinazione urbanistica effettiva dell’area in cui l’immobile ricade, tale destinazione rientra anch’essa nella categoria funzionale “commerciale” di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 23-ter del D.P.R. n. 380/2001. Alla luce delle suddette considerazioni – conclude Anci risponde – il cambio di destinazione d’uso prospettato può essere qualificato come cambio di destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale (commerciale). Di conseguenza, gli oneri di urbanizzazione non sono dovuti. Peraltro, il mutamento di destinazione d’uso da negozio a deposito (o magazzino) non pare comportare un incremento del carico urbanistico rispetto alla destinazione originaria.